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NUOVI DOCUMENTI SULL’ASSASSINIO DI PIETRO FERRERO

Il 18 dicembre 1922 le squadracce fasciste guidate da Piero Brandimarte compirono una feroce rappresaglia contro La Torino operaia. Numerose furono le vittime. tra queste l’anarchico Pietro Ferrero, segretario della Camera del locale, barbaramente trucidato. In questo articolo, pubblicato su Collegamenti n. 6/2024, Tobia Imperato getta nuova luce sulle circostanze del suo assassinio.

Nello stesso numero di “Collegamenti” un breve profilo biografico di Ferrero a cura di Mauro de Agostini e un più ampio inquadramento storico e bibliografico scritto da Franco Schirone.

Ricordando Nello Dal Bò
dell’ANPI di Grugliasco, paese natale di Ferrero,
che tanto si è speso per mantenerne viva la memoria

Pietro Ferrero

Grazie alla gentilezza di Laura Garino, nipote del nostro Maurizio, sono venuto a conoscenza di questa importante testimonianza sulle ultime ore di Ferrero.
Si tratta della testimonianza di un comunista torinese, Bartolomeo Gondolo, che – sequestrato dai fascisti mentre si aggirava nei paraggi – era presente nella portineria della Camera del Lavoro di Torino nelle ore che precedettero l’assassinio di Pietro Ferrero.
La lettera – indirizzata a Giorgio Carretto, dirigente sindacale comunista torinese – porta la data del 5 settembre 1943, cioè pochi giorni prima dell’occupazione nazista. È interessante scoprire come, subito dopo la caduta del fascismo il 25 luglio, i compagni di Ferrero – non a caso troviamo copia di questo documento fra le carte di Maurizio Garino – si misero alla ricerca di testimonianze utili a processare i responsabili della strage. Gli avvenimenti che seguirono impedirono che si potesse far luce e tutto sarà rimandato a dopo la liberazione (anche se gli autori della strage furono alla fine assolti dalla magistratura compiacente e non pagarono mai per i loro delitti).

“Asti, 5 settembre 1943
Caro Carretto,
In seguito ai brevi cenni che ti ho esposto il mattino del 16 u. s. per le scale dell’ufficio di via San Francesco da Paola, riguardando l’atroce fine del nostro povero Ferrero, visto che l’inchiesta dei nefandi fatti di Torino segue il suo tanto desiderato corso, tengo a precisarti, affinché tu lo rimetta a chi di dovere, essendo io sfollato ad Asti, la mia testimonianza sulla fine del povero Ferrero, assumendomi tutta la responsabilità di quanto espongo.
(18 dicembre ‘22) [scritto a mano, probabilmente da Carretto] Non ricordo con precisione la data di quella triste sera, fatto sta che essendomi recato nelle vicinanze della Camera del Lavoro per osservare l’occupazione da parte dei fascisti, fui preso da due sicari e condotto dentro la medesima, e precisamente nella stanzetta a sinistra del piano terreno dove alloggiava il custode, trasformata per la bisogna in bivacco, con un pò di paglia per terra e piena di sbirraglia armata che mi accolse a calci e schiaffi buttandomi a terra come un cane. A nulla valsero le mie dichiarazioni di essere un artigiano e quindi estraneo alle loro accuse di spia comunista.
In quella camera giacevano per terra due altri individui tutti contusi per le botte ricevute, a me sconosciuti.
Erano circa le 11 quando vidi entrare il povero Ferrero tutto deformato in viso e sospinto brutalmente dai sicari, i quali lo buttarono a terra vicino a me dicendo: «Hai finito di succhiare il sangue degli operai. Ora ti mettiamo noi a posto», accompagnando queste parole con calci nei fianchi e nella testa.
Il povero Ferrero tentò di trascinarsi vicino a me quasi a cercare protezione ma subito ricominciò la pioggia di calci e randellate, finché lo vidi cadere al suolo esanime rantolante, col sangue che gli usciva copioso dalla bocca e dal naso.
Verso le 11 e trenta mi portarono dal capo di questa inquisizione e di questo capo ti ho già fatto il nome, che ora taccio per paura che questa mia non vada direttamente nelle tue mani.
Costui mi perquisì e non avendomi trovato nulla di compromettente, non sapeva che farsene di me. Mi portò vicino a Ferrero e mi chiese se lo conoscevo. Alla mia risposta negativa, mi disse: «Come, non conosci questo cane?» Da notare che il Ferrero appena entrato mi aveva riconosciuto, ma tanto Lui quanto io non ci siamo salutati e questo fu la mia salvezza. Alla mia domanda se potevo uscire, il famoso capo mi rispose che la nostra sorte era segnata e che di noi catturati doveva farne una frittata: li invitai di nuovo a venire con me per accertarsi di quanto loro affermavo. E finalmente, dopo un lungo confabulare tra loro, mi lasciarono, erano le 11 e 3/4.

Al mattino La Stampa portava questa intestazione («Ferrero Segretario della Federazione Metallurgica») narrando che fu rinvenuto verso le ore 24 presso il monumento Vittorio Emanuele. Dunque un quarto d’ora prima io ero ancora vicino a Lui.
Ora si vede che il povero Ferrero fu ucciso nella Camera del Lavoro e poi trasportato vicino al monumento, sperando quei vigliacchi sicuri di far perdere le tracce del delitto, ma però ci sono ancora io. Caro Carretto, prendi nota di questa mia testimonianza e dalle il suo corso che a qualunque interrogatorio sono pronto.
Scrivimi e dammi qualche indicazione per denunciare il responsabile, non sapendo io come sia composta la famiglia di questo inquisitore, se ha dei fratelli o no, ma credo che se ti rammenti il nome è presto rintracciato essendosi pure tanto distinto alla caccia agli accattoni. (Chiappo) [scritto a mano, probabilmente da Carretto]
Attendo da te una risposta. Unendoti a questa mia il mio indirizzo, ricevi i miei più sinceri saluti e auguri.
Tuo amico.
Gondolo Bartolomeo [a matita]”

Questa preziosa testimonianza di Gondolo, dopo la liberazione, era sicuramente conosciuta negli ambienti della sinistra torinese, come riporta un articolo de l’Avanti! del 2 settembre 1945, ma il rinvenimento del testo originale è di vitale importanza per comprendere come si svolsero gli ultimi istanti della vita di Ferrero.
Da quanto si evince da questa narrazione dei fatti, 20 minuti prima del ritrovamento del cadavere, Pietro Ferrero si trovava nei locali della Camera del Lavoro ed era ancora vivo (sebbene in pessime condizioni). Questo ci porta a riconsiderare tutta la vulgata posteriore tramandataci dalla tradizione orale circa un suo trascinamento, legato a un camion, per le strade di Torino. In realtà l’operazione fu molto più semplice nella sua efferata brutalità: gli spararono in faccia all’interno della Camera del Lavoro, ammazzandolo a sangue freddo e senza testimoni, poi si sbarazzarono del corpo gettandolo ai piedi del monumento a Vittorio Emanuele II nel corso omonimo.
A conforto di questa ricostruzione concorre anche l’autopsia.

“Anni 30 ha costituzione [parola illeggibile] regolare buono stato di nutrizione e presenta le lesioni qui sotto descritte:
1) In corrispondenza dell’angolo interno dell’occhio destro e della palpebra inferiore una lacerazione della palpebra stessa con margini leggermente contusi delle dimensioni di poco meno di una moneta da un centesimo. Il globo oculare è interrotto nella sua continuità da una spaccatura a margini frangiati. In corrispondenza della guancia destra si nota una vasta breccia irregolare con la sua direzione dal basso verso l’alto e dall’indietro in avanti. Detta lesione presenta margini contusi pergamenacei disseccati per uno spessore di circa uno o due millimetri. Nel tratto di cute che si trova fra la lesione predetta e il padiglione dell’orecchio si presenta una serie di fine punteggiatura dall’apparenza di tatuaggio. Palpando la cute tra detta lesione e l’occhio destro si osserva la frattura dell’arcata zigomatica con frammenti piccoli e minuti.
In corrispondenza della metà destra del collo si nota un orifizio della grandezza di un centesimo circa ovale con direzione orizzontale circondato da un piccolo orletto contuso più esteso verso la parte destra. I margini di detta lesione sono circondati ed infiltrati di sangue. A sinistra in corrispondenza della fossa sovraclavicolare si nota un altro orifizio circolare circondato da una zona dove gli stati superficiali della cute sono asportai come un tratto grande come una moneta da due soldi”.

Pietro Ferrero, busto alla Camera del lavoro di Torino

Nella sbrigativa relazione dei medici legali dell’epoca è descritta chiaramente la presenza di fori “delle dimensioni di poco meno di una moneta da un centesimo” e “da due soldi” sul volto e sul collo che sono evidenti prove di un’esecuzione a bruciapelo. Dove nasce quindi la leggenda del trascinamento legato a un camion? Molto probabilmente è dovuta alle terribili condizioni in cui familiari e compagni (Garino tra questi, come descrive nelle sue memorie) trovarono il corpo all’obitorio. Era talmente martoriato e irriconoscibile a un punto tale da diventare inimmaginabile che potessero averlo ridotto in simili condizioni solamente a calci e pugni.
Gondolo ripeterà (con piccole varianti non significative) ancora nel 1949 questa versione dei fatti nella sua deposizione al processo ai responsabili della strage.

“ADR La sera del 18 dicembre 1922, mentre stavo transitando in Corso Galileo Ferraris, fui fermato da alcuni fascisti ed accompagnato dentro la Camera del Lavoro e precisamente in una stanza a sinistra del pianterreno. In detta stanza si trovavano diversi fascisti armati di rivoltelle moschetti pugnali e manganelli, i quali stavano picchiando un giovane a me sconosciuto il quale si era rifiutato di gridare: «Viva Mussolini». Cercai di convincere i fascisti che nulla avevo a che fare con il Partito Comunista, ma invano. Fui trattenuto in detta stanza fino alle 23,45 circa senza subire violenza alcuna.
Alle ore 23 circa alcuni fascisti fecero entrare nella stanza di cui ho parlato il Ferrero Pietro che io conoscevo di vista e che in quell’epoca era il segretario della FIOM di Torino. Il Ferrero doveva già essere stato picchiato consistentemente in quanto il suo viso era gonfio e tumefatto e imbrattato di sangue. I fascisti lo buttarono a terra dicendo testualmente: «Assassino!, hai finito di succhiare il sangue agli operai» e continuarono a picchiarlo con calci alla testa e pugni; lo colpirono pure con i calci dei moschetti.
Dopo qualche minuto fui accompagnato da certo Chiappo Dionigi che comandava la squadra fascista che aveva occupato la Camera del Lavoro ma costui si rifiutò di farmi uscire dicendo che: «per ordine di Piero» nessuno doveva uscire. Fui riportato nella stanza dove si trovava il Ferrero e dopo qualche minuto, mercé l’interessamento di un fascista, potei uscire dalla Camera del Lavoro e fare ritorno a casa mia.
Mentre stavo uscendo vidi il Brandimarte Pietro – che ben conoscevo di vista – il quale stava entrando nella Camera del Lavoro in compagnia di tre o quattro fascisti a me sconosciuti.
ADR Il giorno seguente appresi dai giornali cittadini che il Ferrero Pietro era stato trovato morto nei pressi del monumento Vittorio Emanuele II.
ADR Fra i fascisti ho riconosciuto soltanto il Brandimarte e il Chiappo”.

Gondolo denuncia apertamente e senza dubbi di sorta il nome degli assassini (quelli che comandavano): Pietro Brandimarte e Dionigi Chiappo, che – come già detto – restarono impuniti.

 

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