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Alvarez, La via basca all’autodeterminazione

“UN ACCORDO ALL’IRLANDESE PER FARE COME NEL QUEBEC

LA VIA BASCA ALL’AUTODETERMINAZIONE

 

Intervista a JOSEBA ALVAREZ, responsabile delle Relazioni Internazionali di BATASUNA e deputato al Parlamento Autonomo Basco – Venezia 26 novembre 2004

 

Avevo già intervistato Joseba Alvarez nel 1996 a Donosti (San Sebastian) e poi nel 1997 a Madrid, all’epoca del processo contro Herri Batasuna. In quell’occasione mi trovavo nella capitale spagnola come osservatore internazionale per conto della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli.

Anche Joseba, in quanto esponente della Mesa Nacional, era stato condannato e incarcerato. Lo avevo poi rivisto in occasione dei vari Social Forum (a Genova nel 2001, a Firenze nel 2002…).

Questa intervista è stata realizzata all’interno delle iniziative di Batasuna per far conoscere a livello internazionale il documento “Orain herria, orain pakea” ( “Ora il popolo, ora la pace”) presentato a San Sebastian il 14 novembre 2004.

 

D – Come si configura attualmente il “panorama politico” dell’area abertzale basca (dopo l’illegalizzazione di molte organizzazioni e la chiusura di alcuni media)?

 

  1. Se c’è qualcosa che caratterizza l’attuale panorama politico di Euskal Herria, è la percezione, estesa a tutte le componenti politiche, sindacali e sociali basche, che l’attuale situazione giuridica e istituzionale (tanto in Iparralde che in Hegoalde) è ormai superata e che ci troviamo di fronte ad una opportunità storica reale e concreta: affrontare in maniera definitiva la soluzione politica del conflitto tra il popolo basco e i due stati (Spagna in Hegoalde e Francia in Iparralde nda).

Esiste la chiara percezione della necessità di un nuovo accordo politico che garantisca tutti i diritti di tutte le persone (il corsivo è mio nda) che vivono in tutta Euskal Herria.

E’ per questo motivo che la Sinistra Abertzale ha presentato il 14 novembre 2004 la sua “Aportacion a la Resolucion del Conflicto” (ultimo di una lunga serie di proposte per una soluzione politica rispettosa dei diritti di tutti in E.H. nda).

Bisogna sottolineare che dopo questo nuovo contributo realizzato da Batasuna nel 2004, nel quadro del processo aperto dalla “Alternativa Democratica (1995) e dopo essere passati per la tregua di Eta e gli accordi di Lizarra-Garazi, nulla è come prima in Euskal herria.

Dopo la rottura dei Colloqui di Algeri (1989) tra i rappresentanti del Governo spagnolo diretto da Felipe Gonzales e i rappresentanti di Eta, e dopo gli arresti della presunta “copula” di Eta a Bidarte nel 1992, la Sinistra Abertzale entrò in una fase di riflessione interna che si concluse con la presentazione all’opinione pubblica della “Alternativa Democratica” nel 1995.

Sono già passati quasi dieci anni da quando la Sinistra Abertzale realizzava quella rifondazione globale del propria strategia politica e presentava pubblicamente la completa riformulazione strategica di quella che fino ad allora era conosciuta come “Alternativa KAS” (che da venti anni definiva il percorso della Sinistra Abertzale).

Molte sono state le conseguenze politiche di questo importante cambio di strategia, ma tre di queste evidenziano in particolar modo l’importanza di quanto è avvenuto e chiariscono il lavoro compiuto dalla Sinistra Abertzale nella decade 1994-2004.

La prima è che con la nuova strategia occorre passare dalla resistenza alla costruzione nazionale (il corsivo è mio nda); sarebbe a dire che la questione centrale della strategia non consiste nell’accumulazione delle forze nella prospettiva di una negoziazione tra Eta e lo Stato, ma nel progredire della costruzione nazionale e delle trasformazioni sociali in Euskal Herria, aggregando iniziative e componenti sociali e sindacali in ambiti fondamentali per il futuro del paese, come la lingua e la cultura, l’economia, il territorio nelle sue diverse articolazioni…

La seconda conseguenza fondamentale è che per la prima volta nella sua storia la Sinistra Abertzale diventa, con le sue differenti strutture politiche, sociali e sindacali, realmente nazionale dotandosi di una strategia nazionale che comprende la questione del territorio basco nella sua interezza, ossia le sette province. Finora non esistevano organizzazioni politiche che assumessero interamente la questione di Euskal Herria con una strategia unica di carattere nazionale.

La terza conseguenza politica fondamentale è a livello di negoziazione. Oggi non è più come all’epoca di Algeri quando l’unico interlocutore politico basco di fronte allo Stato era Eta; oggi è una rappresentanza della stessa società basca (in ogni suo aspetto) che svolge questo ruolo in nome di Euskal Herria.

 

  1. Naturalmente tutto questo non nasce dall’oggi al domani…

 

  1. Tutto questo ha avuto inizio negli ultimi anni del Governo Gonzales. Ricordo che la “Alternativa Democratica” viene presentata nell’aprile del 1995 e che José Maria Aznar vince le elezioni nel 1996, dopo lo scandalo che ha mostrato alla luce del sole quali fossero le responsabilità dello Stato nella trama del Gal.

Il fatto di aver elaborato la “Alternativa Democratica” ha permesso alla Sinistra Abertzale, smentendo tutti gli “esperti” che nel 1992 profetizzavano la sua definitiva scomparsa, di determinare l’intera agenda politica basca per un decennio, portando il dibattito politico sul terreno attuale: autodeterminazione, territorialità, consultazioni, pace…

E’ stata soprattutto la Sinistra Abertzale che, pagando un prezzo altissimo, ha trascinato la società basca in questo attuale scenario politico. A caro prezzo, però: chiusura del nostro giornale Egin; chiusura di Radio Egin; illegalizzazione di Gestoras Pro Amnistia e di Askatasuna; illegalizzazione di Jarrai, Haika e Segi; il carcere per l’intera Mesa Nacional di Herri Batasuna e successivamente l’illegalizzazione di Herri Batasuna, Euskal Herritarok e Batasuna; l’illegalizzazione di Udalbiltza; l’impossibilità di legalizzare le candidature di AuB e di HZ; la chiusura dell’unico quotidiano in basco, Euskaldunon Egunkaria…

In definitiva, la violazione dei diritti civili e politici di decine di migliaia di baschi e basche, oltre all’esistenza di circa 700 prigioniere e prigionieri politici baschi, indicano con chiarezza quale sia stata la risposta dello Stato spagnolo alla “Alternativa Democratica”.

Ma, nonostante tutto ciò, la Sinistra Abertzale ha continuato ad avanzare. Non si può comprendere il processo e gli accordi di “Lizarra-Garazi”, la creazione di “Udalbiltza” (Associazione dei Comuni Baschi di tutta Euskal Herria) e la tregua unilaterale decretata da Eta negli anni 1998 e 1999, senza contestualizzarli nel processo politico aperto da “Alternativa Democratica”. Tantomeno si può spiegare la “Propuesta de Paz” lanciata da Batasuna nel gennaio 2002 e la “Propuesta de Transicion” dell’aprile 2002, senza “Lizarra-Garazi” e senza la “Alternativa Democratica”. Dopo la “Propuesta de Paz” e la “Propuesta de Transicion”, vennero la “Propuesta de Anaitasuna” e l’”Acuerdo de Bergara” rispettivamente nel 2003 e nel 2004, al fine di costituire un tavolo per la soluzione del conflitto. A tutto questo bisogna aggiungere la dichiarazione di tregua di Eta in Catalunya. E’ evidente che, nonostante l’illegalizzazione, la Sinistra Abertzale è attiva e presente nella vita politica basca. E’ nel contesto di questa riflessione comune tra le diverse componenti sociali, sindacali e politiche basche che nasce il “Foro de Debate Nacional” in seguito all’illegalizzazione di Udalbiltza. Più di 170 persone provenienti da diverse realtà sociali, sindacali e politiche si sono riunite attorno a un denominatore comune: come garantire il futuro di Euskal Herria e il riconoscimento dei nostri diritti, già stabiliti dalla “Carta de los Derechos Civiles y Politicos” dei cittadini baschi presentata nella “Conferencia Internacional” realizzata da Udalbiltza tre anni prima a Donostia.

 

Durante tutto il 2003 questo gruppo di persone che riunisce tutte le diverse anime politiche alla sinistra del PNV (la partecipazione del PNV a questa iniziativa, oggi come oggi, è quasi nulla) ha realizzato un lavoro comune e, nel “Giorno della Patria Basca” (Aberri Eguna) del 2004, ha presentato una doppia proposta da realizzare entro l’Aberri Eguna del 2005:   la creazione del Nazio Garapen Kontseilua (che si potrebbe tradurre come “Consiglio Nazionale per lo Sviluppo”) per elaborare un Piano Strategico di Costruzione Nazionale per diverse aree di intervento (euskara, educazione, spazio economico basco, pari opportunità, attività sportive…) e contemporaneamente del Larrialdietarako Batzordea (che si potrebbe tradurre come una “Commissione Crisi”) in grado di rispondere adeguatamente in modo unitario a qualsiasi aggressione.

Dall’altra parte avremo la creazione della “Mesa Nacional para la Resolucion del Conflicto” per presentare alla società basca, in occasione dell’Aberri Eguna del 2005 una nuova “Propuesta Politica” che permetta di superare l’attuale scenario di violenza, attraverso la partecipazione di tutta la società basca, con la collaborazione di ogni tipo di sensibilità politica presente in Euskal Herria (non solo della componente abertzale, come avvenne con Lizarra-Garazi).

Questo è il panorama politico attuale di Euskal Herria ed è in questo contesto (e con l’idea di facilitare questo processo politico che oggi sta giungendo a maturazione, dieci anni dopo l’Alternativa democratica) che la Sinistra Abertzale ha presentato il suo ultimo contributo per la soluzione del conflitto.

 

 

  1. Che giudizio date del ritorno al Governo del PSOE? In fondo è sempre il partito di Gonzales…

 

  1. La vittoria di Zapatero dopo gli attentati dell’11 marzo 2004 ha creato un’aspettativa e creato le condizioni concrete per una opportunità.

Appare evidente che Zapatero non è José Maria Aznar, sia per quanto riguarda la politica internazionale che per la politica europea e per quella interna. Ci chiediamo se questo valga anche per la politica basca. E’ vero che in quanto Baschi abbiamo solide ragioni per non fidarci del PSOE.

Felipe Gonzales accettò la cosiddetta « transizione spagnola » da cui derivano la Costituzione spagnola, il ripristino della monarchia, la conoscenza obbligatoria del castigliano, la “unità indivisibile della Patria”…Gonzales portò la Spagna nella Nato, realizzò un processo di riconversione industriale che per Euskal Herria comportò lo smaltellamento di una gran parte del suo tessuto industriale. Inoltre, come se non bastasse, durante il suo mandato nacque il Gal, venne applicata la dispersione dei prigionieri e delle prigioniere baschi, si diffuse la tortura, si produsse il fallimento dei colloqui di Algeri…

Da parte sua il PP (Partito Popolare di Aznar nda) per otto anni non ha fatto altro che aumentare ulteriormente la repressione della società basca. La necessità di un altro quadro giuridico per Euskal Herria è attualmente, dopo due legislature del PP, più evidente che mai.

Per questo, dopo le elezioni generali del marzo 2004, la Sinistra Abertzale manifestò pubblicamente la sua disponibilità ad aprire una nuova fase politica basata sul dialogo e inviò a Zapatero un chiaro messaggio affinché abbandonasse il sentiero percorso dai suoi predecessori.

Esiste quindi per una parte della Sinistra Abertzale l’esplicità volontà di cambiare le cose, esiste anche una domanda generale di cambiarle. Zapatero ha una opportunità che non andrebbe sprecata. E’ nelle sue mani la possibilità di passare alla storia come il presidente spagnolo che risolse politicamente e democraticamente l’ultimo conflitto storico interno, attivo e armato, dell’Unione Europea. Se questo è avvenuto in Irlanda deve poter avvenire anche in Euskal Herria.

Sarà un bene per tutti: per gli Spagnoli, per i Baschi e anche per l’Europa.

 

D – Esiste ancora in Hegoalde un’informazione autenticamente libera e democratica, dopo la chiusura di Egin?

 

  1. La mancanza di un autentico spazio per la comunicazione in E.H. (che non fosse ovviamente subalterno agli interessi di Madrid e Parigi) era evidente durante il periodo di Lizarra-Garazi:
    Attualmente possiamo calcolare che l’80% dello spazio comunicativo teoricamente basco è, in realtà, controllato da Madrid, da Parigi e dalle multinazionali. Ragion per cui la chiusura del quotidiano Egin, di Radio Egin, della rivista Ardi Beltza e successivamente dell’unico quotidiano che si pubblicava in lingua basca, Euskaldunon Egunkaria, hanno oscurato ulteriormente il panorama mediatico di E.H.

Questo appare particolarmente grave in un contesto politico come quello attuale, quando la società basca dovrebbe venir informata correttamente dei passi importanti che si stanno compiendo e di quelli da compiere in futuro, sia per quanto riguarda la soluzione del conflitto che nell’ambito della costruzione nazionale e delle trasformazioni sociali.

Con quella che è stata definita la “Brunete Mediatica” (ritengo sia un riferimento alla famosa battaglia della Guerra Civile nda) spagnola e francese, si è cercato di azzoppare il processo di autodeterminazione, nonostante la tregua di venti mesi proclamata da Eta.

La risposta della Sinistra Abertzale e di gran parte della società basca non è stata solo di denuncia per la soppressione dei mezzi di comunicazione baschi. Dopo la chiusura di Egin è nato il quotidiano Gara. Hanno chiuso il quotidiano in basco Euskaldunon Egunkaria, ma è sorto un altro giornale in basco, Berria. Ed entrambi, Gara e Berria, hanno un numero di lettori maggiore di quanto avessero Egin ed Euskaldunon Egunkaria. Tutte queste iniziative sono state rese possibili dal sostegno economico di migliaia e migliaia di lettori trasformatisi in una moltitudine di piccoli azionisti che non traggono alcun beneficio economico dai loro investimenti. E’ una forma di militanza per far progredire Euskal Herria.

 

 

  1. Uno dei problemi non ben conosciuti al fuori di Euskal Herria è quello della Navarra, separata dal punto di vista amministrativo dalle “Vascongadas” (e anche divisa in due dal confine franco-spagnolo). Ne puoi parlare, inquadrandolo anche dal punto di vista storico?

 

  1. Navarra è il regno storico dei Baschi come popolo indipendente; possiamo definirla la culla di Euskal Herria in quanto i re di Navarra hanno rappresentato una legittima dinastia basca.

Non dimentichiamo che quando i Romani giunsero a Irunea (Pamplona) parlarono di “lingua navarra” e si trattava dell’euskara.

La Navarra rappresenta il maggior riferimento storico-politico per un progetto unitario di Euskal Herria. Infatti gli Spagnoli prima si impadronirono di Alava e poi di Bizkaia e Guipuzcoa. Solo alla fine assalirono la Navarra, di cui faceva parte anche la Bassa Navarra, attualmente in Iparralde (il Nord di E.H. sotto l’amministrazione francese nda).

Come sai ai nostri giorni esiste una artificiosa divisione istituzionale tra le tre Vascongadas e la Navarra, regione autonoma con un proprio parlamento. Ma proprio per questo noi diciamo con forza :”Somos todos Navarros”.

La storia ufficiale mente raccontando che nel 1512 la Navarra “si unì alla Castiglia”. In realtà fu invasa e ad Amaiur, nell’ultima fortificazione si riunirono i nobili di Navarra per opporre l’estrema resistenza. Navarra era la regione più popolata, considerata il granaio di Euskal Herria. Era chiamata il Paese Basco “amarillo” (giallo) per il grano che produceva (generalmente il Paese Basco è “verde” per definizione).

Era la regione agricola, la più ricca e popolata del Regno di Navarra (che si estendeva anche sulla costa atlantica dove si praticava la pesca).

Con la rivoluzione industriale tutto cambia e la regione basca più popolata diventa Bizkaia (siderurgia, miniere, cantieristica…), ma Irunea (Pamplona) rimane la capitale storica di E.H.

Naturalmente non può essere solo il passato a determinare il nostro futuro. Per noi è molto importante sapere da dove veniamo, ma altrettanto importante è quello che siamo ora, quello che il popolo basco vuole per il proprio futuro.

   D. Recentemente ho letto un giudizio di Inaki Egana sui “Requetès, i combattenti baschi aderenti al Carlismo che durante la Guerra Civile si schierarono con Franco, contro i loro fratelli schierati con la legittima Repubblica ( i “Gudaris”). Scrive : “Furono, senza dubbio, l’espressione di una tragedia storica”. Potresti chiarire il contesto di questa vicenda?

  1. Nel secolo XIX il popolo basco, anche se aveva perso la guerra, mantiene i “Fueros” (insieme di norme che regolavano la vita politica, amministrativa, giuridica ed economica di E.H. da tempo immemorabile).

Il nuovo regime al potere in Spagna (che ha sconfitto i Carlisti) esprime una grossa contraddizione nei confronti di E.H. E’ più progressista dei precedenti ma non riconosce i diritti del popolo basco.

I Carlisti mantengono la difesa dei “Fueros” e dell’dentità basca; è una difesa di tipo nazionalista. Attualmente tra gli storici baschi si discute se le Guerre Carliste siano state o no guerre di liberazione. Io ritengo che fosse un movimento di autodifesa popolare, soprattutto pensando che i notabili baschi, sostenitori della nuova ideologia borghese, erano schierati con gli Spagnoli. Il Carlismo difendeva la tradizione, il “vecchio” contro la modernizzazione, ma in E.H. la base popolare stava con i Carlisti. Nel 1876 la dogana (che fino ad allora era situata sull’Ebro) viene trasferita sulla costa. Cui Prodest? In questo modo la borghesia basca, per poter vendere più facilmente i suoi prodotti, elimina la dogana interna, danneggiando le classi subalterne e esautorando i “Fueros”.

Per quanto riguarda i “Requetès” si tratta di unità militari carliste di Navarra. Prendono il nome da uno dei battaglioni della Prima Guerra carlista ed erano già organizzati militarmente alla nascita della Seconda Repubblica.* Già alcuni mesi prima della Guerra Civile il giornale del PCE avvertiva che i Requetés erano “l’organizzazione militare più organizzata del paese, equipaggiata come un esercito regolare e pronta a marciare contro la Repubblica”.

Si calcola che al momento dell’”Alzamiento” contassero più di ottomila armati. Da quel momento si organizzarono in “Tercios”. Schierati con Franco combatterono, oltre che sul fronte basco, anche a Madrid. A Valladolid e in Aragona. Lo storico Inaki Egana parla di “una guerra civile tra baschi”, parallela al confronto di E.H. con lo Stato. In questo senso si può parlare di una “tragedia storica” per E.H.

Vorrei aggiungere che ai nostri giorni persiste una sorta di “privilegio” per due comunità autonome (Vascongadas e Navarra), un retaggio delle guerre carliste. Le imposte vengono raccolte dall’amministrazione basca e una quota (stabilita di volta in volta) va poi a Madrid per esercito, polizia, Guardia Civil, Corona…

Per inciso ricordo che perfino nel Quebec avviene il contrario. Naturalmente le altre comunità (una quindicina) hanno protestato, anche a Strasburgo, sostenendo che la politica fiscale esiste solo in presenza di uno stato. Come è possibile – sostenevano- che dentro allo stato spagnolo ci siano due fiscalità? Come Baschi possiamo solo rispondere che abbiamo perso la guerra ma guadagnato un “patto”.

 

  1. A tale proposito mi avevi parlato di un contenzioso in materia ambientale, dopo il naufragio del “Prestige”…
  2. Dopo il naufragio della petroliera in Galizia anche la costa basca restò gravemente inquinata. Dato che per la legge spagnola la costa appartiene allo Stato, lo Stato avrebbe dovuto ripulirla.

Dal momento che questo compito ha dovuto svolgerlo il Governo Basco, questo ha trattenuto 200 milioni di euro al momento di versare la quota.

 

  1. Quali sono i vostri principali riferimenti internazionali, a livello di partiti e movimenti?

 

  1. Intanto una premessa: noi come popolo abbiamo alcuni problemi da risolvere.

Innanzitutto la necessità di costruire un paese. Il territorio è comune; la discussione verte su che tipo di paese. Proprio come quando si deve costruire una casa; il modello della casa è un “problema interno” che riguarda coloro che ci abitano.

Abbiamo rapporti di solidarietà e collaborazione con movimenti e popoli che esprimono una volontà di autodeterminazione, di effettiva sovranità nazionale: Mapuches, Zapatisti, Indiani d’America…In Europa con Sardi, Corsi, Irlandesi, Catalani…

Oltre a questo abbiamo rapporti con partiti di sinistra, sia della sinistra rivoluzionaria (come in America Latina) che istituzionale. Quindi possiamo dire che ci relazioniamo con i popoli in lotta per i loro diritti e con quella parte della sinistra che riconosce e accetta la realtà dei popoli. Non ci interessa aver rapporti con la destra e con quella parte della sinistra che non riconosce il principio dell’autodeterminazione.

In particolare ci riconosciamo nei Social Forum (Joseba era presente a Genova, a Firenze, a Porto Alegre…) che in questi ultimi anni hanno espresso una vigorosa alternativa al neoloberismo, proponendo un visione di sinistra che, nei fatti, superava le vecchie distinzioni tra comunismo di stato, socialismo, anarchismo…proponendo un modello più democratico e pluralista.

Siamo solidali e lavoriamo insieme soltanto con chi accetta i due principi dell’autodeterminazione e della giustizia sociale. Per questo, per esempio, abbiamo qualche difficoltà a relazionarci anche con la stessa comunità basca negli Stati Uniti che è filorepubblicana e ha votato soprattutto per Bush.

 

  1. Hai citato Catalunya e Corsica, due realtà molto vicine al popolo basco e alle sue lotte…

 

  1. Come ho detto da molti anni abbiamo forti legami con altri popoli identitari. Vediamo positivamente l’evolversi della situazione in Corsica. Il referendum per decidere lo status dell’isola è stato sicuramente un riconoscimento. E’ la società corsa che (come avviene in Quebec) vota in merito alla sua situazione; evidenti progressi vi sono stati anche in campo linguistico e culturale, grazie ai recenti accordi.

Ugualmente avanzano i Paisos Catalans. L’attuale situazione ha permesso che l’Esquerra Republicana entrasse nel governo; progressi si registrano anche in campo linguistico (10 milioni di persone che parlano catalano; ottomila libri all’anno in catalano; il 50% dei film doppiati in catalano…). Anche l’accordo di tregua tra Eta e i PP.CC. (che si sono mossi come un vero e proprio stato) è un altro fatto molto indicativo. Possiamo dire che oggi la Spagna ha due grossi problemi: Euskal Herria e i Paisos Catalans.

Sono due percorsi diversi, ma entrambi mettono in discussione lo Stato.

Ritengo che i Catalani siano più avanti, che ormai il tempo giochi a loro favore.

Per noi è un po’ diverso. Per venticinque anni abbiamo progredito, ma forse non abbiamo ancora raggiunto quel “punto di non ritorno” che rende il processo di autodeterminazione irreversibile. Questo credo sia avvenuto in Irlanda e stia avvenendo anche nei PP.CC., ma per Euskal Herria è diverso.

 

  1. E per quanto riguarda l’Italia?
  2. Ci sembra che in Italia la sinistra sia più variegata (sociale, ecologista, libertaria, antagonista…) che nel resto d’Europa. Dall’Italia ci è pervenuta molta solidarietà al momento di Lizarra-Garazi, soprattutto da alcuni sindacati di base (Cobas, RdB…) e dai movimenti (antagonisti, “Disobbedienti”…). Da tempo poi esiste un legame particolare con i movimenti sardi. A livello personale avevamo rapporti anche con alcuni esponenti di Rifondazione (ma, almeno fino ad ora, non con il partito) e dei sindacati confederali. Dopo tre anni di lavoro siamo arrivati a questo incontro ufficiale ( 25 novembre 2004 nda) con alcuni parlamentari italiani (Mauro Bulgarelli e Paolo Cento dei Verdi, Gennaro Migliore e Ramon Mantovani di Rifondazione, Maura Cossutta dei Comunisti Italiani), esponenti quindi di partiti istituzionali (senza per questo abbandonare la relazione con i movimenti, ovviamente).

Il nostro auspicio è che centinaia di parlamentari, anche a livello europeo, si pronuncino apertamente a favore della soluzione del conflitto in Euskal Herria.

 

  1. Un giudizio sulla Lega Nord…

Sicuramente negativo.

Purtroppo esistono alcuni settori della sinistra che, in nome dello Stato, non accettano i movimenti identitari, che li considerano reazionari a priori.

Per costoro il fatto che un movimento che si presentava come identitario sia andato al governo con Berlusconi sarebbe una conferma di questa tesi.

Invece per noi esiste anche un nazionalismo di sinistra, così come ne esiste uno di centro. Non solo di destra. E naturalmente esiste anche un nazionalismo rivoluzionario.

Per noi la Lega rappresenta un problema perché può far comodo identificarci con questo partito razzista.

A mio avviso quello posto dalla Lega non è un problema di identità, ma solo di interesse economico, anche se poi si è ricoperto con discorsi identitari. Non vedo come si possa rispettare la diversità, le varie identità dei popoli stando a destra.

 

  1. In Euskal Herria la questione dell’ambiente è molto sentita. Ci puoi parlare delle lotte dei Baschi in difesa di “Amalur” (Madre Terra) e dei movimenti ecologisti?
  2. Il movimento ecologista in E.H. esiste da anni; molto importante fu la lotta contro la centrale nucleare di Lemoiz, una delle cinque centrali previste da Franco in Euskal Herria.

Se questo progetto si fosse realizzato il Paese Basco sarebbe diventato il centro energetico della Spagna; la presenza delle centrali sarebbe stata la scusa per la presenza in forze dell’esercito, della G.C. e, a mio avviso, avrebbe rappresentato la fine di ogni progetto di indipendenza.

Lo stato spagnolo ha fallito perché tutti si sono mobilitati contro Lemoiz (che sorgeva a circa quindici chilometri da Bilbao): il movimento ecologista, i movimenti sociali di massa…e infine l’Eta che distrusse il reattore quando la centrale era ormai terminata, pronta per l’uranio.

Vi furono migliaia di manifestazioni, alcuni militanti persero la vita…ma alla fine non venne avviata. Con ogni probabilità si tratta del movimento antinucleare più ampio che si sia visto in Europa.

Altre lotte di massa si sono svolte contro la diga di Itoiz, contro la centrale Boroa (ciclo combinato gas carbone), contro l’Alta Velocità…per non parlare delle centinaia di iniziative locali contro l’inquinamento. Eguzki è l’organizzazione ecologista più nota, diciamo “storica”. recentemente è sorta “LURRA” (La Terra) che ha un carattere più di massa; ne esistono naturalmente molte altre di più piccole…

 

  1. E Green Peace?
  2. A noi sembra troppo istituzionale…**

 

  1. A volte i Baschi vengono definiti “Indiani d’Europa”. Vi considerate un popolo nativo, indigeno?

In America Latina si parla di “Popoli originari”, forse perché il termine “indigeno” sembrava avere una componente etnicista troppo accentuata.

I più noti sono sicuramente gli Indiani d’America, caratterizzati da una loro visione del mondo, da una propria lingua e cosmogonia, dal particolare rapporto con la Madre Terra, dall’essere comunque altrove rispetto al sistema capitalista. Bisogna anche dire che sul termine “popolo” c’è, anche a sinistra, una certa confusione.

Recentemente a qualche riunione internazionale dove si parlava di Bolivia, Argentina etc. come “popoli” dell’America Latina abbiamo dovuto precisare che si trattava di Stati, un’altra cosa.

A noi comunque non dispiace essere chiamati “indigeni”, dato che implica un’origine del popolo basco antecedente a quella degli stati. Quello che non ci piace sono le eventuali implicazioni etniche e razziste. Abbiamo sempre detto che i Pirenei potevano, da sempre, essere valicati lungo il Mediterraneo o in prossimità dell’Atlantico. Proprio nei Paesi Baschi. Qui sono passati tutti e quindi non possiamo sentirci etnicamente differenziati. Sicuramente siamo molto identitari (soprattutto per quanto riguarda la lingua), ma non siamo etnicisti. Non esiste il DNA basco.

Il nostro è un nazionalismo rivoluzionario, con un preciso progetto politico. Il nazionalismo basco storico era conservatore, profondamente cattolico e i lavoratori che venivano da fuori erano visti come il “male”; era un nazionalismo etnicista che però non dava importanza al fattore linguistico.

Nel 1959 nasce il nazionalismo laico, moderno, aconfessionale…Da qui poi derivano tutte le componenti della sinistra basca: i maoisti, i trotzkisti, gli ambientalisti radicali…

 

  1. Parliamo degli immigrati, ieri spagnoli, oggi extracomunitari. Qual è la vostra posizione?
  2. Noi pensiamo che il fenomeno migratorio esiste non per volontà dei migranti, ma perché questi non hanno un lavoro nel loro paese. I migranti quindi sono delle vittime, degli oppressi.

Ricordo che in Euskal Herria la rivoluzione industriale è precedente ad analoghi sviluppi in Spagna; non è un caso che la prima banca della penisola sorga a Bilbao. Come è noto Franco occupa il Paese basco tra il ’36 e il ’39.

In seguito la borghesia basca si arricchisce, accumula…ma ha necessità di mano d’opera a buon mercato. Questa viene fornita dagli immigrati spagnoli, migliaia di lavoratori che vengono in E.H., naturalmente non come imperialisti. Del resto, senza sindacati, la situazione era ottimale sia per la borghesia che per il franchismo che vedeva di buon occhio la presenza di lavoratori immigrati in Euskadi.

All’epoca il Paese Basco praticamente non esiste, ma qui opera una forte resistenza antifranchista e molti lavoratori immigrati partecipano alle lotte comuni. Una parte si integra perfettamente. ***

Altri prendono comunque coscienza dell’esistenza di un Paese Basco. Attualmente costituiscono la base elettorale di PSOE e PP.

Noi riteniamo che tutti coloro che vivono in E.H. hanno il diritto di essere baschi (se vogliono, naturalmente). Sicuramente non vogliamo imporre a nessuno la nazionalità.

Oggi la maggior parte degli immigrati proviene dall’Est e dall’Africa (soprattutto dal Magreb). Gran parte dei lavoratori del settore dell’edilizia, della ristorazione, anche della pesca (lavori duri, mal pagati) sono extracomunitari. Penso che noi baschi e i lavoratori extracomunitari abbiamo diritti comuni e dobbiamo lottare per il riconoscimento dei diritti di entrambi, noi come comunità negata, loro come migranti.

 

  1. Recentemente si è parlato di corsi di catalano per lavoratori migranti tenuti direttamente in Marocco per favorire l’integrazione. C’è qualcosa del genere per l’euskara?
  2. Conosco l’esperienza portata avanti da Angel Colon, responsabile per la cultura catalana. In E.H. prevale il lavoro sociale delle varie associazioni. Esiste naturalmente anche un lavoro istituzionale per i bambini nelle scuole.

 

D . Qual è attualmente la situazione dei prigionieri politici?

  1. Attualmente ci sono più prigionieri politici che alla fine della dittatura: quasi settecento.

A questi bisogna aggiungere i circa duemila esiliati (non legali) e i rifugiati.

Il problema dei prigionieri è che sono dispersi e in isolamento. Non si riconosce loro lo status di prigionieri politici, ma per loro esiste una politica carceraria differenziata.

Il periodo in cui Aznar era al potere ha visto andare in galera anche molte persone estranee all’ETA (giornalisti, ecologisti, nonsottomessi…), ma a tutti vengono applicate le stesse restrizioni (compreso un vero e proprio Tribunale speciale) in quanto baschi.

Le associazioni di solidarietà con i detenuti (Gestoras pro Amnistia, Askatasuna…) sono illegali.

Noi pensiamo che non ci sia soluzione del conflitto senza soluzione di questo problema. Quella dei prigionieri è una delle questioni centrali del dialogo, così come è stato per l’Irlanda e anche per il Sudafrica.

 

 

 

 

 

D – Una parte significativa del popolo basco ha guardato con interesse all’esperienza irlandese (dialogo, colloqui di pace, liberazione dei prigionieri politici…). A tuo avviso cosa non ha funzionato nel tentativo del Forum per l’Irlanda e in quello dell’accordo di Lizarra-Garazi?

 

  1. Come ho già detto sicuramente il Popolo Basco non ha perso la speranza e nemmeno si può sostenere che l’accordo di Lizarra-Garazi sia stato un totale fallimento. Non è possibile comprendere l’attuale situazione (e nemmeno si sarebbe giunti a questo punto) senza prima passare per Lizarra-Garazi . L’accordo stesso e anche la tregua di 20 mesi di Eta non ci sarebbero stati senza la precedente opera di riflessione strategica della Sinistra Abertzale che si era concretizzata con l’Alternativa Democratica.

Quello che mancò in Lizarra-Garazi furono varie cose. Innanzitutto che le forze politiche stataliste, tanto francesi che spagnole, non vollero farsi coinvolgere. Fu quindi un accordo tra esponenti dell’area abertzale, boicottato dagli altri. Di conseguenza gli stati francese e spagnolo non riconobbero questo processo di pace (nonostante avesse prodotto una tregua di 20 mesi) e si dedicarono a demolirlo, criminalizzando tutte le parti coinvolte. Ma soprattutto il PNV, la “Democrazia Cristiana” basca, che stava nell’accordo, vedendo che gli stati non si muovevano e vedendo come invece criminalizzavano i partecipanti (e vedendo come la Sinistra Abertzale stava diventando la seconda forza politica di E.H., con 80.000 voti nelle elezioni municipali del 1999, con buone probabilità di diventare la prima) abbandonò il tavolo degli accordi. A questo punto Eta ruppe la tregua unilaterale che aveva decretato e poi mantenuto per 20 mesi nonostante l’immobilismo degli stati.

Per tutti questi motivi il progetto su cui attualmente stiamo lavorando è diverso da quello di Lizarra-Garazi. Detto in due parole, abbiamo bisogno di un accordo come quello irlandese per poter agire come nel Quebec (ritengo che in particolare Joseba Alvarez si riferisca ai referendum adottati nella regione francofona nda).

 

D – Che giudizio daresti della recente esperienza irlandese e della scelta fatta dai Repubblicani?

 

  1. Tanto l’esperienza irlandese come quella saharaui, per fare un altro esempio, hanno dimostrato tre cose essenzialmente. La prima è che sia il Movimento Repubblicano Irlandese

Che il Fronte Polisario sono le due parti del conflitto che realmente rispettano gli accordi stabiliti. Governo inglese e governo del Marocco non rispettano gli accordi e tentano regolarmente di modificarli. Per prima cosa non vogliono firmare, sostenendo che finchè c’è la violenza non è possibile; poi, quando la violenza è cessata, e hanno sottoscritto degli accordi non li rispettano.

La seconda lezione che si ricava dall’esperienza irlandese e da quella saharaui è questa. In entrambi i casi la tregua dura da anni. IRA e Polisario non hanno ripreso le armi. Ma questo non ha risolto i problemi di fondo perché i diritti dei due popoli non vengono riconosciuti. Si impone uno stato di cose viziato dalla forze degli eserciti occupanti, si impone la rinuncia al ricorso alle armi per la parte occupata, ma gli accordi restano lettera morta. Tutto questo dimostra che per gli stati oppressori il vero problema non è la lotta armata bensì il processo di autodeterminazione per il diritto alla sovranità nazionale dei popoli oppressi, processo che mette in discussione l’unità nazionale indivisibile per definizione degli stati.

La terza lezione è che la resistenza è condizione necessaria ma non sufficiente. Se non resisti ti annichiliscono, vuoi manu militari, vuoi attraverso l’assimilazione. Tuttavia se ci si limita a resistere, non si vince. E’ necessario adeguare la propria strategia in modo da proseguire nel cammino verso l’autodeterminazione, bisogna costruire, con o senza lotta armata, e soprattutto disporre di un appoggio sociale interno e internazionale, entrambi fondamentale. Occorre “concretizar” la nuova situazione generatisi nel corso del processo di trasformazione.

 

D – Irlanda- Euskal Herria: nella storia di queste due nazioni oppresse quali sono le analogie e quali le differenze (lingua, resistenza, senso di identità…)?

 

  1. Penso che ci siano molti elementi per sostenere che si tratta di casi simili, ma con enormi differenze, soprattutto al momento di definire un processo di autodeterminazione.

Da un lato in Irlanda che in Euskal Herria vi sono popoli che lottano per la difesa dei loro diritti nazionali, sociali, economici e culturali; diritti violati dagli stati occupanti.

Sono i due maggiori esempi di resistenza politico-militare del secolo XX in Europa.

Sono due Popoli storicamente perseguitati, occupati, snazionalizzati, culturalmente e linguisticamente minorizzati…

Sono entrambi Popoli molto legati alla loro terra, molto identitari, che hanno dovuto subire una forte emigrazione per la situazione economica a cui furono condannati. Esiste quindi una consistente diaspora, sia per i Baschi che per gli Irlandesi.

Ma la loro situazione per molti aspetti è anche molto differente. Non possiamo dimenticare che esiste una Repubblica Irlandese ufficialmente riconosciuta, membro dell’Unione Europea e rappresentata all’ONU; essa dispone di uno Stato, anche se non di tutto il territorio dell’Isola.

Euskal Herria, oltre a non essere un’isola, non dispone di nessuna parte del suo territorio riconosciuto come Stato membro dell’Unione Europea, tantomeno dell’ONU. Il Popolo Basco vorrebbe creare uno stato nuovo, quello irlandese rimodellare le frontiere di uno che già esiste.

Dal punto di vista sociale, culturale, linguistico ed economico, la situazione in Euskal Herria è migliore di quella esistente in Irlanda. Non c’è stato in E.H. uno scontro sociale tra due diverse comunità nazionali, strategicamente alimentato, come in Irlanda, dall’occupante nei suoi aspetti religiosi, per alimentare il conflitto e garantire il dominio. La situazione dell’euskara, con tutti i suoi limiti, è migliore di quella del gaelico in Irlanda. La situazione economica basca, nonostante i suoi momenti di declino, è ancora migliore di quella irlandese.

Infine, Euskal Herria ha un contenzioso con due stati che in futuro saranno determinanti per l’Unione Europea, dato che Francia e Spagna, insieme alla Germania, rappresentano il motore del nuovo progetto europeo.

Va anche ricordato che Blair ha accettato (sotto la pressione della lobby americana) il principio per cui l’Irlanda del Nord ha il diritto di decidere in merito al proprio futuro, mentre oggi come oggi niente di simile è stato riconosciuto ai Baschi da Madrid e da Parigi.

D – Cosa prevedi (e cosa speri) per il futuro dell’Irlanda e del movimento repubblicano?

 

  1. Non ho il minimo dubbio che il Movimento Repubblicano otterrà il suo principale obiettivo, cioè di riunire l’irlanda in un solo stato. Penso che ormai non vi sia nulla che possa impedirlo dato che ormai il tempo corre a suo favore. Naturalmente ci vorrà ancora molta pazienza per vincere la resistenza degli Unionisti.

Un altro aspetto riguarda l’importanza che verrà acquistando in questo processo il Sinn Fein. Penso che l’opinione pubblica irlandese saprà riconoscere gli sforzi compiuti dal Movimento Repubblicano in tutti questi anni, sia in Irlanda del Nord che nella Repubblica. Sono convinto che il Sinn Fein rappresenti l’opportunità politica futura dei settori popolari e progressisti in una Irlanda riunificata, indipendente dall’origine o dalla fede religiosa delle persone. Sarà il catalizzatore di una Irlanda socialmente più giusta e di una politica europea e internazionale più solidale.

 

D- E per Euskal Herria?

  1. Il nostro percorso è completamente diverso da quello irlandese perché il punto di partenza è completamente diverso. Noi non abbiamo un nostro stato e nemmeno possiamo sperare di averlo tra breve. A breve termine noi dobbiamo essere in grado di garantire quei meccanismi che permettano di garantire il futuro del nostro popolo, investendo sulla nostra lingua, l’euskara, e sull’economia. E tutto questo senza disporre di uno stato. Dobbiamo ricostruire il nostro paese, dobbiamo passare dalla resistenza nei confronti dei due stati alla costruzione nazionale nonostante gli stati. Per questo il nostro progetto sociale deve essere in grado di aggregare la maggioranza del nostra popolo, indipendentemente dal paese di origine di ognuno.

Possiamo progredire solo all’interno della sinistra dato che, come afferma da anni la Sinistra Abertzale, la liberazione nazionale e quella sociale sono le due facce della stessa medaglia.

Il nostro è un progetto democratico collocato all’interno della sinistra che, anche se non legale dal punto di vista della costituzione spagnola o francese, sarà inequivocabilmente democratico, sociale e plurale. Promuovero questo processo disobbediente e nonsottomesso, alternativo, è la scopo della Sinistra Abertzale.

 

a cura di Gianni Sartori

Osservatore internazionale al processo contro Herri Batasuna (1997) per conto della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli

Note:

 

* L’origine del nome deriva probabilmente da una canzone dei volontari del Terzo Battaglione di Navarra, al tempo di Zumalakarregi. Questi andavano a combattere cantando: ”Vamos andando,tàpate, que se te ve el requeté”, alludendo alle toppe e scuciture nei pantaloni dei soldati (nda).

 

**  Definire Green Peace “istituzionale” quando da noi è considerata espressione dell’azione diretta può succedere soltanto in Euskal Herria e rende l’idea del livello di coscienza, anche in campo ecologista, dei Baschi. Naturalmente mi sono ben guardato dal chiedere in merito al WWF…(nda).

 

*** Non è certo un caso che il Txiki (Juan Paredes Manot), militante di Euskadi Ta Askatasuna fucilato nel 1975, una sorta di eroe nazionale per generazioni di baschi, sia figlio di immigrati dall’Extremadura (nda).