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LA SANITA’ LOMBARDA NELL’ OCCHIO DEL CICLONE

Sul n. 6/2024 di “Collegamenti” questo articolo, frutto di una intervista ad alcuni lavoratori dell’USI Sanità di Milano realizzata da Visconte Grisi

Oggi si fa un gran parlare della privatizzazione sempre crescente del sistema sanitario, il che naturalmente è vero, ma è anche necessario risalire a come è cominciata l’aziendalizzazione all’interno stesso del sistema sanitario pubblico e la trasformazione della salute in una merce vendibile e acquistabile sul mercato.
Infatti la trasformazione degli ospedali pubblici in aziende tese alla realizzazione di profitti è precedente ai successivi fenomeni di privatizzazione della sanità. Il processo iniziò nei primi anni 90 con l’introduzione dei cosiddetti DRG, in parallelo con la trasformazione delle USSL (Unità socio-sanitarie locali) in ASL (Azienda sanitaria locale). La sigla DRG sta per Diagnosis Related Group in inglese, traducibile in italiano con “Raggruppamento omogeneo di diagnosi” con cui “si fa riferimento a un sistema che permette di classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale (ricoverati in regime ordinario o day hospital) in gruppi omogenei per assorbimento di risorse impegnate (isorisorse). Tale aspetto permette di quantificare economicamente tale assorbimento di risorse e quindi di remunerare ciascun episodio di ricovero. Una delle finalità del sistema è quella di controllare e contenere la spesa sanitaria”.(1) Detto in parole povere un intervento chirurgico di appendicectomia avrà un valore economico certamente inferiore di un trapianto cardiaco.Il sistema è stato creato da Robert B. Fetter e John D. Thompson nell’Università Yale ed introdotto nel servizio sanitario Medicare degli USA nel 1983. In Italia è stato introdotto nel Servizio Sanitario Nazionale con tre decreti ministeriali nel 1992-93-94, mentre, prima di allora il finanziamento degli ospedali era basato sulle giornate di degenza.(2) Ora è chiaro che un sistema di questo genere può indurre a incentivare le prestazioni più remunerative a scapito di quelle meno remunerative e/o a creare reparti super specializzati in interventi ad alto valore aggiunto in termini di macchinari e personale qualificato (le cosiddette eccellenze).
Abbiamo già segnalato che privilegiare le strutture ospedaliere rispetto a quelle territoriali è funzionale alla concentrazione dei profitti capitalistici nella sanità, cosa che appare evidente dalle dimensioni sempre più grandi assunte dagli ospedali e dalla chiusura di quelli più piccoli. Concentrazione che vuol dire investimenti sia pubblici che privati, finanziamenti soprattutto pubblici, ultimamente dirottati sempre più sul privato, introduzione dei ticket sanitari, possibilità per i medici specialisti di effettuare visite private intramoenia, cioè dentro l’ospedale, conseguente allungamento infinito dei tempi necessari per ottenere una prestazione a carico del SSN, con l’inevitabile effetto di dover ricorrere al privato in caso di urgenza. Tutte manifestazioni, ormai più che note, della necessità capitalistica di far profitto sulla medicina e sulla sanità in generale.
A seguire poi si è dato ampio spazio alla “competizione fra pubblico e privato”, così cara ai vari governatori della Regione Lombardia, nascondendo però il fatto che la competizione era truccata fin dall’inizio, perché, a fronte dei cospicui investimenti effettuati dai vari gruppi privati in campo sanitario, negli ultimi dieci anni, secondo i calcoli della Fondazione Gimbe, circa 37 miliardi di euro di aumenti di spesa sanitaria, previsti per mantenere l’attuale qualità dei servizi, sono stati tagliati.(3) Senza contare che, ad esempio, in Lombardia i privati accreditati hanno dirottato il 40% dei fondi regionali, a fronte di un 35% complessivo di prestazioni erogate.(4)
Fra i vari gruppi privati che hanno investito massicciamente nella sanità primeggia, in Lombardia, il Gruppo San Donato (GSD), proprietario dell’ospedale San Raffaele, dell’Istituto Ortopedico Galeazzi e di svariate cliniche private. Il GSD ha esordito, subito dopo aver rilevato la proprietà del San Raffaele dal tristemente famoso Don Verze’, nell’ottobre 2012 con 244 licenziamenti di lavoratori e lavoratrici del comparto, con la disdetta di tutti gli accordi aziendali economici e normativi vigenti e con il previsto passaggio dal contratto della sanità pubblica al contratto nazionale della sanità privata AIOP, più sfavorevole per i lavoratori. Naturalmente per i lavoratori rimasti si prospettava un peggioramento delle condizioni lavorative, il taglio dei salari e l’aumento dei carichi di lavoro. Dopo sei mesi di lotte dure e di mobilitazioni dei lavoratori, con un presidio permanente davanti all’ospedale, fu raggiunto un accordo che prevedeva il ritiro dei 244 licenziamenti, pagato però con alcune decurtazioni salariali in media del 9%.
Tuttavia nel giugno 2020, approfittando della pandemia e della relativa impossibilità di proclamare scioperi in una situazione di emergenza, la direzione del San Raffaele ha cambiato il contratto ai suoi circa 3200 dipendenti, fino ad allora considerati “eroi”, introducendo il contratto privato AIOP, con valore retroattivo, che prevede meno garanzie, meno tutele, meno inquadramenti e zero diritto allo studio (le 150 ore di permesso retribuito). A ciò bisogna aggiungere che la Regione è intervenuta per coprire una parte dei costi del nuovo contratto privato con soldi pubblici e con la concessione di un aumento del numero di prestazioni annue erogate dall’ospedale. E, nonostante che il fatturato del San Raffaele goda di ottima salute, prosegue fino ai nostri giorni l’attacco alle condizioni dei lavoratori, che denunciano nelle azioni di sciopero la grave carenza degli organici, l’esternalizzazione dell’assistenza in vari reparti e rivendicano migliori condizioni lavorative e retributive, oltre alla stabilizzazione dei colleghi precari.
Le cose non vanno meglio negli ospedali pubblici: prendiamo come paradigmatico il caso degli ospedali San Paolo e San Carlo. Nel 2017 ci fu il tentativo di localizzare nell’area del San Carlo un eliporto che avrebbe dovuto coprire il servizio del 118 per tutta la Lombardia. Una pista di atterraggio di elicotteri con relativi hangar, depositi di carburante ecc. a stretto contatto con i reparti di degenza degli ammalati con tutte le relative conseguenze (rumore, rischio di incendi ed esplosioni ecc.). La mobilitazione dei lavoratori dell’ospedale riuscì a far accantonare il progetto. (5)
Nel 2018 la Regione aveva deciso l’accorpamento dei due ospedali le cui sedi attuali sarebbero state chiuse e concentrate in un nuovo grande ospedale localizzato nel Parco Sud Milano, in un’area peraltro tutelata da vincoli ecologici. Da notare che nello stesso tempo la Regione cedeva l’area dell’Expo 2015, di proprietà pubblica, al già citato Gruppo San Donato per la costruzione del nuovo ospedale Galeazzi. Il progetto di accorpamento prevedeva una riduzione del personale da 1100 a 800 e la chiusura di alcuni reparti ritenuti in eccesso. Anche in questo caso il progetto che prevedeva un finanziamento di 300/400 milioni venne abbandonato nel 2019 anche a seguito dell’opposizione dei lavoratori.
E così arriviamo allo scoppio della pandemia nel 2020. In verità la pandemia di Covid19 venne preceduta al San Paolo da una epidemia di scabbia durata diversi mesi che denotava già una scarsa capacità di isolamento dei contagiati. La situazione di emergenza dovuta alla pandemia è stata utilizzata dalla direzione degli ospedali per limitare l’azione dei sindacati di base (USI) e dei delegati RSU e anche per ridurre da 15 a 6 proprio i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS). A ciò si aggiungeva l’imposizione di turni di 12 ore, la mobilità selvaggia per coprire l’esecuzione di tamponi, prelievi, vaccinazioni con conseguente chiusura di altri servizi. Da tutto ciò è derivato poi la mancata effettuazione di visite mediche e altre prestazioni di routine con il conseguente allungamento smisurato delle liste d’attesa che si prolunga fino ai nostri giorni, causa principale poi del ricorso al privato.
Lo stato di emergenza è servito poi per imporre la censura nei confronti di qualsiasi critica rivolta alla direzione degli ospedali considerata alla stregua di diffamazione e quindi passibile di licenziamento e anche di denuncia all’Autorità giudiziaria, come nel caso dei 50 medici del servizio di rianimazione dei due ospedali che avevano scritto una dura lettera, denunciando la cattiva gestione dell’epidemia di Covid19.(6)
La situazione attuale negli ospedali, sia pubblici che privati, è quindi caratterizzata da una forte limitazione dei diritti e delle libertà sindacali che rende difficile la proclamazione degli scioperi, già peraltro soggetta ai vincoli di legge nella pubblica amministrazione e all’obbligo di mantenimento dei servizi essenziali che, molte volte, costringono i lavoratori a dichiararsi in sciopero pur continuando a lavorare.
Esiste poi da tempo una cronica carenza del personale che costringe i la voratori a turni prolungati e a un lavoro defatigante. Secondo la Federazione Italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) “negli ultimi 10 anni, a causa del blocco del turnover e dei tetti di spesa per il personale, il Servizio sanitario nazionale ha perso oltre il 6% degli organici”. Secondo la stessa fonte “ogni anno vanno in pensione, tra quota 100 e limiti di età, più di 20mila tra medici e infermieri a fronte di soli 14mila tra nuovi specializzandi e neolaureati in infermieristica” in quanto “i costi di oggi sono ancorati e parametrati agli stessi del 2004”.(7) A questo bisogna aggiungere un consistente passaggio di medici e infermieri dal settore pubblico a quello privato, considerato certamente più remunerativo.
Come conseguenza di questa carenza di personale molti servizi sono stati da tempo appaltati a cooperative esterne come, ad esempio, le mense per i dipendenti, il catering per i degenti, i servizi di pulizia, lavanderia, manutenzione ecc. Non solo, anche per quanto riguarda medici e infermieri si ricorre sempre più frequentemente alle varie agenzie del lavoro, a contratti a termine o precari, ad assunzioni di liberi professionisti pagati a ore o a gettone di presenza. Tutto ciò ha provocato sicuramente una frammentazione fra i lavoratori che rende più difficile l’azione sindacale.
Inoltre dobbiamo segnalare il formarsi di una tendenza autonomista o corporativa non solo, come da lunga tradizione, fra i medici ma anche fra gli infermieri. Su questa tendenza ha influito certamente il passaggio del titolo di studio degli infermieri da diploma a laurea breve, senza però che da questo derivasse un significativo cambiamento delle mansioni degli infermieri, rimaste essenzialmente di tipo esecutivo; anche se tuttavia questo passaggio ha aperto qualche possibilità di carriera per alcuni sulla base della professionalità e della cosiddetta meritocrazia. Sta di fatto però che da diversi anni è nato un sindacato autonomo (o corporativo) degli infermieri, il NurSind, che riscuote comunque un notevole successo. Ad esempio nelle ultime elezioni della RSU del San Raffaele, tenute nel Novembre 2023, il NurSind ha ottenuto il 31% dei voti contro il 22% dell’USI e il 23% della CUB. USI e CUB insieme mantengono comunque la maggioranza nella RSU dell’ospedale.
Occorre fare un’ultima annotazione: per le organizzazioni che si rifanno all’antagonismo sociale lo scenario delineato sopra non è certamente roseo. Tuttavia è necessario forse aprire una riflessione sui nuovi modi di svolgimento del conflitto sociale in una società frammentata.
N O T E
1) Vedi la voce “Raggruppamento omogeneo di diagnosi” in Wikipedia.
2) Vedi il capitolo “Riferimenti normativi” alla stessa voce di Wikipedia.
3) www.gimbe.org Fondazione Gimbe- Report 7/2019. Il definanziamento 2010-2019 del SSN.
4) Vedi left.it del 14/05/2020 – “Modello Lombardia” di Vittorio Agnoletto.
5) https://usi-cit.org>category>sanita
6) https://www.fanpage.it>milano -4 dicembre 2020- Milano, guerra negli ospedali San Carlo e San Paolo: la dirigenza denuncia 50 medici.
7) Univadis l Adnkronos Sanità l 08/06/2022 Fiaso, in 10 anni perso 6% organici, è ora di tornare ad assumere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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