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CONSIDERAZIONI SULLE LOTTE SINDACALI DEI LAVORATORI STATUNITENSI DELL’AUTO.

Dal numero 6/2024 di “Collegamenti” riportiamo questa importante analisi di EZIO BOERO sulle recenti lotte dei lavoratori del settore automobilistico negli Stati uniti

Il 15 settembre scorso, dal palco della manifestazione di Detroit che aprì la vertenza sindacale delle 3 grandi imprese statunitensi dell’auto, Shawn Fain, presidente di United Auto Workers (UAW), dichiarò: “Siamo stati accusati di causare una guerra di classe ma la guerra di classe è già stata fatta per 40 anni in questo Paese: la classe dei miliardari si è presa tutto e ha lasciato la classe lavoratrice rosicchiare ogni mese la propria busta paga per cercare di sopravvivere”. Daniel Vicente, responsabile UAW della Regione 9 (New York, New Jersey e Pennsylvania) aggiungeva: “C’è un incendio nel movimento operaio degli Stati Uniti”.

Una qualche forma di incendio si è in effetti manifestata a partire dalla mezzanotte del 15 ottobre 2023, alla data di scadenza dei contratti di lavoro con le Big 3 dell’auto (Ford, General Motors e Stellantis, negli USA ex Crysler). E immediatamente sono iniziati gli scioperi articolati, con la nuova forma dello sciopero progressivo dello Stand Up Strike (delle cui modalità parleremo oltre). Durato 46 giorni consecutivi, esso ha sollevato interesse nella Nazione ben aldilà del numero dei lavoratori coinvolti nella vertenza dell’auto.

Gli operai dello stabilimento Ford di Detroit, che produce i modelli Bronco e Ranger, sono stati gli operai Ford entrati in sciopero per primi. Le fabbriche Ford non avevano più visto alcuno sciopero dal 1978. Gli operai sono rimasti sorpresi quando è giunta dal Sindacato, alle ore 22 del 15 ottobre, l’indicazione di uscire dai reparti. Alle 23 la direzione, sorpresa come loro, ha mandato tutti a casa. Un’ora dopo, i picchetti, mobili, come prevede la normativa USA sugli scioperi, hanno iniziato ad apparire ai numerosi cancelli dell’impianto. Sostenitori dello sciopero si sono radunati dall’altra parte della strada. Veicoli di passaggio su Michigan Avenue suonavano i clacson a mo’ di sostegno, mentre si alzava lo slogan No deals, no wheels!, “senza contratto, nessuna auto (prodotta)”.

LE RAGIONI E LE ASPETTATIVE DEL CONTRATTO

L’opinione comune dei lavoratori delle Big 3 prima del rinnovo contrattuale era di non esser stati risarciti dei sacrifici imposti loro per salvare le imprese automobilistiche nella crisi del 2008-2009. Anni a partire dai quali avevano subito l’arretramento dei diritti contrattuali, un livello a retribuzione più bassa creato per i neo assunti, l’aumento degli orari e dei carichi di lavoro.

Nell’ultimo decennio, le 3 Grandi dell’auto degli USA hanno realizzato profitti per 250 miliardi di dollari, investiti per lo più in azioni proprie, per aumentarne il valore, e in gratifiche per i dirigenti: i 3 amministratori delegati hanno guadagnato ciascuno nel 2022 dai 21 ai 29 milioni di dollari. Per abbattere i diritti e le retribuzioni, queste aziende hanno continuato a praticare trasferimenti di lavorazioni (in Messico e nel Sud degli Stati Uniti), esternalizzazioni e chiusure di impianti (ben 65 nell’ultimo ventennio).

Nel 2001, le Big 3 occupavano negli USA 408.000 operai, oggi solo 146.000. Nelle fabbriche sopravvissute, sono cresciuti infortuni e carichi di lavoro (anche oltre i limiti di sicurezza e fino ad orari di 12 ore al giorno), mentre le paghe, in particolare quelle dei neo assunti, già risibili in partenza, erano salassate dall’inflazione crescente. Stellantis imponeva negli USA una paga iniziale di 15,78 dollari con turni di 10 ore, anche per 6 giorni la settimana.

E’ noto che, salvo eccezioni come appunto quelle delle Big 3 (in cui, dalle grandi lotte degli anni ’30 del secolo scorso, sono firmati accordi aziendali), negli USA il contratto collettivo di lavoro, se e quando è stipulato, non è a livello nazionale di categoria, ma per ogni singola unità produttiva. Questa è una delle cause della frantumazione della classe lavoratrice statunitense, oggi accompagnata da una risicata percentuale di sindacalizzazione.

Nel 1983 aveva una tessera sindacale il 20,1% della forza lavoro. Oggi sono iscritti ai vari Sindacati 14 milioni di lavoratori e cioè il 10% della forza lavoro, il minimo storico. Ma solo il 6% è tesserato nel settore privato, mentre lo è un terzo dei dipendenti pubblici. Peraltro la sindacalizzazione è notevolmente diversificata tra i vari Stati dell’Unione: alta in quelli del Nord-Est, della costa del Pacifico e della zona dei Grandi Laghi. Bassissima negli Stati del Sud-Est, quelli della ex Confederazione Sudista, col minimo in Carolina del Sud: 1,7%. Dove nel 2014 l’allora governatrice dichiarò di non volere i Sindacati nel “suo” Stato perché “non vogliamo contaminare le acque”. Inoltre 26 Stati hanno approvato leggi right to work, definite cioè paradossalmente di diritto al lavoro, che proibiscono ai contratti collettivi d’inserire la clausola dell’union shop, l’obbligo di tutti i lavoratori di un’azienda sindacalizzata a pagare le quote.

La novità di quest’ultimo triennio non è negli USA l’aumento degli iscritti al Sindacato ma l’incremento del numero e della risonanza degli scioperi. Ben lontani dai picchi iniziati al termine della tregua sindacale del periodo della seconda guerra mondiale, ma oggi in netta ripresa e diffusione rispetto al primo decennio del secolo in corso.

Nel 2023 hanno scioperato più di mezzo milione di lavoratori: impiegati pubblici, insegnanti, sceneggiatori e attori, addetti alla sanità e dei grandi hotel. Ed è stato firmato dal Sindacato dei Teamsters (camionisti) il più grande contratto del settore privato, quello del gigante delle consegne United Parcel Service (UPS), che riguarda 350.000 lavoratori. Peraltro senza l’indizione dello sciopero, il cui mandato alla delegazione di trattativa è solitamente votato con referendum tra gli iscritti, all’inizio della vertenza.

Anche in questi anni, i padroni statunitensi non sono rimasti fermi. Nel settore dell’auto, di cui parliamo in questo articolo, sono continuate le appaltizzazioni, i lavori temporanei o i part-time imposti, che hanno ulteriormente frantumato l’unità dei lavoratori, anche perché vengono loro affidate le attività più dure. Sono avvenute chiusure di grandi stabilimenti (mandando in povertà le comunità che attorno ad essi e di essi vivevano) e massicce ricollocazioni di impianti nel Sud degli USA in Stati poco sindacalizzati. I cui governi si disputano l’apertura di stabilimenti a suon di incentivi fiscali e di agevolazioni urbanistiche (l’Alabama ha sborsato 300 milioni di dollari per convincere Mercedes-Benz a costruirvi uno stabilimento). Sono state introdotte o incrementate forme di controllo del lavoro o di sua sostituzione (gli algoritmi di Amazon, l’intelligenza artificiale generativa, non solo nel settore dell’intrattenimento cine-televisivo, ecc.) e si attende la grande conversione dei veicoli dal motore a scoppio alle batterie elettriche.

Durante la cosiddetta Grande Recessione del 2007-2008, quella dei sostanziali fallimenti di GM e Chrysler (ora Stellantis), la UAW, su pressione dell’amministrazione Obama – Biden, fece enormi concessioni alle imprese, un tempo impensabili per la storia di quel Sindacato, poi applicate anche in Ford. Come la rinuncia all’aggancio automatico delle retribuzioni all’aumento del costo della vita (Cost of Living Adjustment, COLA) e, per i lavoratori assunti dopo il 2007, una paga oraria pari al 50% di quella dei lavoratori “anziani” e nessun versamento per la pensione o l’assistenza sanitaria in quiescenza, pur a parità di lavoro. Un regime discriminatorio imposto, sì dal Governo federale come condizione per salvare GM e Fiat-Chrysler, ma accettato da UAW. Si disse allora “transitoriamente”.

Un’altra eredità del periodo dei “contratti di concessione” fu l’aumento, a partire dal 2008, della percentuale di lavoratori temporanei negli stabilimenti delle Big 3, parificandosi alle case automobilistiche non sindacalizzate negli USA, che hanno un’ampia forza lavoro temporanea. Prima del rinnovo contrattuale, i cosiddetti temps guadagnavano, in media tra le 3 Big 3, 16,67 dollari all’ora. Nonostante lavorassero a tempo pieno, non avevano aumenti, partecipazione agli utili o benefici pensionistici e potevano utilizzare solamente dai due ai cinque giorni retribuiti all’anno.

In questo contesto di caduta dei diritti collettivi e di disaffezione dei lavoratori al Sindacato, l’occupazione nell’industria automobilistica statunitense è cresciuta di circa il 30% dai primi anni ’80 agli odierni 1,3 milioni di lavoratori. Però nel 1983 il 60% dei metalmeccanici USA erano iscritti al Sindacato; oggi meno del 16%. Non sono sindacalizzati gli stabilimenti di tutte le imprese straniere dell’auto che operano negli USA e quelle dei veicoli elettrici (come Tesla).

Gli iscritti UAW nel 1979 erano un milione e mezzo, oggi sono 580.000 pensionati (che vivono soprattutto in Michigan, sede storica delle Big 3) e 391.000 in produzione. Ha aumentato negli ultimi anni il numero degli affiliati l’afflusso in UAW di 100.000 lavoratori delle università (di cui 48.000 sono stati protagonisti in California del più grande sciopero nazionale dell’anno 2021). Nonostante la deindustrializzazione delle roccaforti storiche del Sindacato, UAW rimane però il più grande Sindacato industriale degli Stati Uniti, il più grande dei lavoratori manifatturieri ed ora è anche il più grande dei lavoratori universitari.

IL CAMBIO DI DIRIGENZA DI UAW

Ma UAW è stato anche il Sindacato più colpito negli ultimi decenni da corruzione accertata. La quale ha azzoppato l’Administration Caucus, la componente sindacale che ha governato UAW per 80 anni col pugno di ferro, ottenendo importanti contratti ma praticando anche la repressione del dissenso interno. Mentre i lavoratori perdevano diritti e potere, quel gruppo dirigente si è arricchito. La vicenda delle tangenti pagate da Marchionne al gruppo dirigente UAW attraverso i fondi di formazione bilaterali è stata sanzionata nel 2021, quando FCA (ex Crysler, negli USA, adesso Stellantis), accusata di aver pagato dal 2009 al 2016 un totale di 3,5 milioni di tangenti ai leader di UAW, è stata condannata negli USA a pagare 30 milioni di dollari per aver violato le leggi federali sul lavoro. Mentre il presidente UAW, Dennis Williams, è stato condannato a 21 mesi di prigione per appropriazione indebita dei fondi del Sindacato, utilizzati a piene mani per pagarsi spese personali. E anche altri 11 dirigenti sindacali sono finiti in galera.

E’ stato in quel contesto che la magistratura ha imposto una modalità diversa per l’elezione degli organismi di UAW (confermata al 63% da un referendum degli iscritti): non più elezioni da parte dei dirigenti sindacali (oggetto quanto meno di favoritismi) ma direttamente da parte di tutti gli iscritti.

UAW non si è dunque autoriformata ma ha subito l’imposizione governativa per una maggiore democrazia, supervisionata da un commissario federale. Proprio queste elezioni, seppur poco partecipate e concluse con un ballottaggio tra i due più votati tra i candidati alla presidenza della Union, hanno portato ad una leadership del tutto nuova, al cui vertice si è trovato Shawn Fain, che ha vinto per soli 500 voti. Fain, già elettricista di Stellantis, proviene dalla UAW di Kokomo in Indiana (uno Stato ben lontano dall’epicentro delle storiche industrie auto, la zona dei Grandi Laghi). E nel Consiglio esecutivo nazionale UAW, il caucus (la tendenza sindacale) per la democrazia nato nel 2019 (Unite All Workers for Democracy – UAWD) che ha appoggiato Fain ha ottenuto la maggioranza.

Il tema del recupero dei diritti concessi è stato al centro del dibattito delle elezioni degli organismi e della piattaforma per il rinnovo contrattuale: Fain ha vinto la presidenza anche sostenendo che “I Teamsters (il sindacato dei camionisti) hanno recentemente cassato i livelli differenziati di UPS e noi cancelleremo i livelli nelle Big 3”. Lo slogan elettorale della sua componente sindacale è stato no corruption, no concession, no tiers, no corruzione, no concessioni (ai padroni), no livelli separati (a parità di lavoro).

E’ indubbio che il compito della nuova dirigenza eletta era improbo. Circondata da apparati sindacali in mano alla precedente leadership, ha dovuto immediatamente presentare le 3 piattaforme contrattuali delle Big 3. La convention di Detroit del 27 marzo 2023, che ha visto il cambio di gestione sindacale e doveva ratificare le piattaforma, aveva il problema che i 900 delegati presenti, eletti nella primavera del 2022, si riferivano in buona parte al caucus che aveva gestito per decenni UAW. Un ceto intermedio del Sindacato, da sempre leale alla vecchia dirigenza, anche magari per garantirsi un avanzamento di carriera che allontanasse dalla fatica di un impianto automobilistico. Quando Fain è salito per la prima volta sul palco a Detroit, molti delegati non lo hanno applaudito. Al contrario del vicepresidente Chuck Browning, ora il più alto funzionario del caucus sindacale della vecchia gestione.

Tra le tante mozioni discusse nella convenzione, significativa la vittoria di quella che impone a UAW di onorare la linea di picchetto di altri Sindacati. La frammentazione contrattuale produce infatti spesso la situazione in cui iscritti ad una Union si trovino di fronte picchetti di scioperi di lavoratori che aderiscono ad un’altra. Nelle specifico, è rimasto tristemente famoso il fatto del 2019 in cui agli operai GM è stato detto da UAW di attraversare la linea di picchetto dei lavoratori di Aramark. Oggi che questo deprimente segno di divisione dei lavoratori è stato cancellato, è significativo un manifesto UAW esposto di fronte alle fabbriche: The picket line is a sacred place, “la linea del picchetto è un luogo sacro”. Non dev’essere cioè violata da crumiri.

Ciò che non ha impedito l’utilizzo di crumiri da parte delle imprese auto. A cui sono permessi dalla legislazione nel caso di scioperi economici, quali i rinnovi contrattuali. General Motors, iniziati gli scioperi, aveva iniziato ad assumere lavoratori temporanei per 14 dollari l’ora per tentare di mantenere il flusso degli accessori auto.

LA PIATTAFORMA CONTRATTUALE

Con una retribuzione oraria media ante-contratto di 18,04 dollari, inferiore, a parità d’inflazione, a quello percepita dai lavoratori nel 2007, che ammontava a 19,60 dollari, era ovvio che la rivendicazione economica fosse centrale in piattaforma. La richiesta di un aumento del 40% della paga oraria è stata motivata dal pari aumento medio dei tre grandi CEO delle Big 3 negli ultimi quattro anni. I quali risulta avessero telefonato ad agosto al Presidente degli USA per chiedergli un’opinione sulla richiesta economica di UAW (se non un suo intervento sul Sindacato). Biden li ha delusi, comparendo a settembre a Detroit, a confermare la giustezza dell’aumento richiesto, a fianco degli operai impegnati in un picchetto. E ha più volte ripetuto di essere il “presidente più pro-sindacato” nella storia degli Stati Uniti. Malgrado ciò, nel dicembre del 2022, aveva imposto ai ferrovieri, in quanto dipendenti federali, un contratto che non ha assecondato molte delle loro rivendicazioni (come poter usufruire di giorni retribuiti in caso di malattia. L’altra motivazione della richiesta di aumento del 40% era stata il recupero dell’inflazione, che ha attaccato le retribuzioni operaie, trasformando un lavoro ambìto in uno dei tanti lavori di povertà che in ampie zone degli USA, soprattutto nelle grandi città, non permette di vivere degnamente. Ciò doveva sanare anche l’ingiustificata differenziazione salariale, a parità di lavoro, dei nuovi assunti a partire dal 2007, che guadagnavano una retribuzione poco più alta di quella pagata nei fast food.

La piattaforma chiedeva perciò l’eliminazione delle fasce salariali discriminatorie tra vecchi e nuovi assunti, il ritorno all’adeguamento al costo della vita (il c.d. COLA) abolito dalla crisi auto del 2007, il ripristino della pensione a benefici definiti e l’assistenza sanitaria a tutti i pensionati (i lavoratori assunti a partire dal 2007 non hanno né l’una né l’altra), l’aumento dell’importo delle pensioni per gli attuali pensionati, fermo dal 2003.

Nella parte non direttamente retributiva, le richieste erano la trasformazione di tutti i lavoratori temporanei in dipendenti fissi, con limiti rigorosi sull’uso di questi cosiddetti temps, il diritto di sciopero (che altrimenti non ha copertura legale) nel caso di chiusura di stabilimenti, un programma di protezione per i lavoratori licenziati da retribuire per lavori di servizio alla comunità, la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore pagate 40.

LA TRANSIZIONE ELETTRICA

Sul settore auto, non solo negli USA, incombe la transizione ai veicoli elettrici. Le stime del suo impatto occupazionale sono variegate: alcune sostengono che i veicoli elettrici richiederanno a regime il 30-40% in meno di manodopera rispetto ai veicoli a combustione interna. L’ex presidente USA, Trump, che ha a suo carico 91 capi d’incriminazione per vari reati, si è fatto avanti, chiedendo la dichiarazione di voto per lui dell’UAW, che l’ha immediatamente rifiutata. Da pervicace detrattore del cambiamento climatico, giudica le politiche pro-auto elettrica di Biden foriere di ulteriori chiusure di impianti e cerca di riconquistare i molti lavoratori della regione attorno ai Grandi Laghi, la c.d. rust belt (cintura della ruggine) per il colore delle officine abbandonate, che lo avevano votato (quasi al 40%) contro Hillary Clinton nel 2016. E in pochi erano tornati al voto tradizionale per il Partito Democratico, con la candidatura Biden del 2020.

L’Amministrazione Biden ha fortemente incentivato, con l’Inflation Reduction Act (IRA) dell’agosto 2022, la conversione all’auto elettrica ma senza deliberare alcun vincolo per i diritti dei lavoratori, favorendone una transizione al ribasso dei diritti collettivi. La legge IRA prevedeva inizialmente un credito di 4.500 dollari per i veicoli elettrici costruiti con manodopera sindacale, ma la norma è stata cassata, oltre che dal Partito Repubblicano, dal solito voto contrario del senatore del Partito Democratico Joe Manchin, finanziato dalla lobby del carbone. IRA pone l’obiettivo che i veicoli elettrici rappresentino il 50% dei veicoli venduti entro il 2030 ed include grandi crediti d’imposta e incentivi per l’energia pulita e per i veicoli elettrici e la produzione nazionale di batterie. Dalla sua entrata in vigore, le aziende auto USA hanno annunciato 120 miliardi di dollari di investimenti.

Premesso che l’attuale principale produttrice di veicoli elettrici negli USA è l’antisindacale Tesla dell’inquietante Elon Musk, gli investimenti delle altre imprese auto in nuovi stabilimenti si collocano spesso nel Sud statunitense poco sindacalizzato e spesso attraverso joint venture con imprese asiatiche, ancor meno favorevoli alla presenza del Sindacato delle Big 3. Ford da sola sta investendo 11 miliardi di dollari, utilizzando un prestito federale di 9, in nuovi impianti di assemblaggio di veicoli elettrici e fabbriche di batterie in Tennessee e Kentucky.

Il presidente UAW, Fain, ha dichiarato: “Non siamo contro un’economia verde: il riscaldamento globale non è una bufala; è una cosa reale che basta uscire per notare. Ma la transizione ai veicoli elettrici deve essere giusta e i lavoratori non possono essere lasciati indietro”

La prevedibile chiusura delle fabbriche che finora hanno prodotto veicoli con motore a scoppio è stata evidenziata nel marzo 2023, a pochi mesi dal rinnovo del contratto, da Stellantis (ex Chrysler) che ha fermato l’impianto di assemblaggio di Belvidere in Illinois, mettendo 1.350 persone senza lavoro a tempo indeterminato e favorendo l’effetto a cascata della disoccupazione nei fornitori di pezzi di ricambio e nei trasporti dei prodotti (per ogni dipendente diretto di quell’impianto ci sono 7 posti di lavoro nelle ditte esterne presenti sul territorio).

La richiesta della piattaforma contrattuale dell’autunno scorso era dunque opportunamente quella dell’applicazione del contratto a tutti gli stabilimenti delle Big 3, attuali e futuri, per la produzione di veicoli elettrici.

LE MODALITA’ DELLO SCIOPERO STAND UP

Le trattative, diversificate per le 3 aziende, erano iniziate a metà luglio. Il 25 agosto UAW aveva annunciato che il 97% dei suoi iscritti autorizzava lo sciopero “se le Big 3 si rifiuteranno di raggiungere un accordo equo”.

Accanto al tradizionale bidone che brucia la legna per scaldarsi mentre si sta di fronte agli stabilimenti con i cartelli, sono comparse negli scioperi UAW anche nuove forme, utilizzate a piene mani anche negli scioperi del 2023 di sceneggiatori e attori di Hollywood e delle lavoratrici dei grandi hotel californiani, come la musica ed anche il picchetto a tema, quando ci si presenta sul posto in costumi prefissati. Una novità per un classe operaia molto tradizionale come quella dei vecchi stabilimenti dell’auto.

Il tentativo di cambiare la mentalità sindacale, per decenni stagnante in UAW, è avvenuto anche in molti stabilimenti con una ripresa di attivismo dal basso attraverso riunioni e assemblee ed ha favorito il parto di una piattaforma assai ambiziosa, basata sul recupero dei “diritti concessi”, che ha creato notevoli aspettative dei lavoratori. Sostenuta da modalità di lotta e di comunicazione assai diverse dal passato. Essa ha procurato, dopo la fase tangentizia, un rinnovato orgoglio di appartenenza sindacale che ha visto, ad esempio, un’alta affluenza ai corsi di formazione sullo sciopero organizzati dal Sindacato a livello locale, utili a dare istruzioni per l’uso dello sciopero a lavoratori che da anni non erano stati chiamati alla lotta, o, ai nuovi assunti, che non ne avevano mai fatta. Corsi che servivano anche per individuare i responsabili dei singoli picchetti.

Una delle novità della gestione dello sciopero sono state le dirette video di Fain su Facebook,. Un resoconto settimanale dettagliato delle trattative, con in media più di 60.000 spettatori, che è stato molto seguito, non solo dai lavoratori coinvolti, e dai manager che cercavano di tamponare gli effetti della nuova forma di lotta. Il gesto con cui, all’inizio del confronto con Stellantis, Fain butta nel cestino le proposte aziendali è diventato virale, così come la maglietta con su scritto EAT THE RICH (Mangia i ricchi) oppure END TEARS (Fine del livello discriminante per i neo assunti). L’attesa per la dichiarazione di ulteriori scioperi fatta a fine collegamento era attesa con grande interesse.

La pubblicizzazione degli scioperi, oltre che sui social, è avvenuta con la manifestazione iniziale a Detroit e con altre iniziative pubbliche, come quella avvenuta a Chicago il 7 ottobre.

La vertenza è stata descritta da UAW come uno scontro tra due concezioni del mondo, per meglio dire, e ridurre, dell’ “essere americani”. Nei comizi UAW è stato valorizzato l’interesse generale della lotta, da far poi ricadere in positivo sulle aziende auto non sindacalizzate, sui futuri stabilimenti di veicoli elettrici e sull’intera classe lavoratrice USA. Nel suo comizio iniziale delle vertenza, tenuto a Detroit, Fain ha detto: “Combattiamo per l’intera classe lavoratrice e per i poveri”. La parola d’ordine assai utilizzata dal mondo del lavoro statunitense della lotta all’avidità aziendale (the corporate greed) è stata declinata nel contratto delle Big 3, attaccando la grande disparità di retribuzione tra i lavoratori e i manager. Sono stati diffusi urbi et orbi gli introiti totali degli amministratori delegati. Ognuno dei quali ha guadagnato nel 2022 dai 21 ai 29 milioni di dollari. Cioè da 280 a 360 volte il salario medio di un lavoratore di quelle imprese.

Le comunità locali attorno alle fabbriche, distrutte talvolta dalla chiusura avvenuta o prevedibile degli impianti e alcune storicamente conservatrici nella “fascia della ruggine”, hanno fornito sostegno ai picchetti, dimostrando ancora una volta l’importante ruolo di connessione locale e di unità antirazzista che il Sindacato può svolgere (oltre che di diminuzione delle disuguaglianze retributive di genere, colore di pelle e tra le varie occupazioni in un territorio “sindacalizzato”). Una funzione che il Sindacato aveva in quelle comunità negli anni ’60 del secolo scorso, quand’era fortemente radicato nel loro tessuto sociale e promotore di solidarietà. Un sentimento che si è rotto anche a causa del lavoro, se trovato, sempre più lontano dall’abitazione. Il che impedisce di trovarsi assieme dopo il lavoro e fuori da esso, come quando si lavorava vicino a casa.

Infine e soprattutto, è stata del tutto nuova la modalità del consueto sciopero ad oltranza. La trattativa infatti è stata aperta contemporaneamente con tutte e tre le aziende (nel passato UAW ne sceglieva una, il cui contratto, quando firmato, era poi riversato sulle altre). Il c.d. Stand Up Stike (“sciopero in piedi”), che consisteva nell’essere sempre pronti a uscire dagli stabilimenti con limitato preavviso, è servito anche a riversare la competizione, che le aziende tentano di introiettare nei lavoratori mettendoli uno contro l’altro, su di esse: la trattativa contemporanea, in vista dei 3 contratti separati, ha sfidato ognuna delle Big 3 a “comportarsi meglio”, aprendosi via via alle richieste di piattaforma. Lo sciopero, iniziato il 15 settembre con la partecipazione di un solo stabilimento per ciascuna azienda, ha comportato poi un’escalation settimanale, con la quale UAW magari “premiava” l’azienda che aveva fatto aperture significative al tavolo di trattativa, risparmiandole ulteriori scioperi e “puniva” con ulteriori uscite dal lavoro le imprese che presentavano proposte riduttive.

Agli operai degli stabilimenti non coinvolti via via nello sciopero, che hanno continuato a lavorare coi vecchi contratti scaduti, senza una proroga, il Sindacato ha garantito che non ricadevano nella pericolosa ipotesi, grandemente maggioritaria nel mondo del lavoro USA del licenziamento possibile ad nutum (in inglese: at will). Ma il loro sostegno ai compagni di lavoro di altri stabilimenti che scioperavano si è spesso materializzato col silente rallentamento della produzione attraverso il work-to-rule (l’attenersi strettamente alla propria mansione) e con l’esplicito rifiuto degli straordinari volontari.

Il management aziendale è stato per settimane in difficoltà a capire dove sarebbero iniziati gli ulteriori scioperi e ha dovuto impiegare tempo e soldi nello spostare inutilmente pezzi di ricambio da uno stabilimento all’altro, onde cercare di anticiparne la mancanza che poteva essere creata dalla chiusura di impianti a monte della lavorazione.

A partire dal giorno seguente la scadenza del contratto, le ondate di scioperi aggiuntivi sono state sei. La prima ha riguardato uno stabilimento per azienda, le successive, come anzidetto, hanno esentato talvolta un’azienda più disponibile. A metà ottobre erano progressivamente in sciopero permanente 33.700 operai, di 56 stabilimenti e 38 magazzini di distribuzioni dei ricambi, sui 146.000 coinvolti nel rinnovo. Essi ricevevano un contributo di sopravvivenza di 500 dollari (lordi) a settimana, non eccessivo tenendo conto dell’alto costo della vita negli USA. Il Sindacato aveva inizialmente a disposizione una cassa di resistenza di più di 800 milioni di dollari (affidati, en passant, a BlackRock, considerata la più grande “banca ombra” del mondo).

Se tutti i 146.000 lavoratori fossero stati contemporaneamente coinvolti nello sciopero continuativo, tali risorse, come i padroni aveva fatto calcolare a Deutsche Bank, sarebbero durate solo 3 mesi. Con lo Stand Up Strike progressivo e diversificato nelle 3 aziende, che non è arrivato a coinvolgere tutti gli operai delle Big 3, UAW ha versato complessivamente a chi ha scioperato meno di 100 milioni di dollari, a cui occorre aggiungere le spese di organizzazione delle lotte. Restano perciò ad UAW grandi risorse da impegnare nella sindacalizzazione delle altre imprese auto con fabbriche negli USA. E’ da notare che risulterebbe che nel 2022 UAW abbia speso 4,4 milioni di dollari per stipendiare gli organizzatori sindacali ma ben 45 milioni per i benefici di sciopero di tutti gli iscritti che in quell’anno hanno scioperato, nessuno dei quali era occupato nell’industria automobilistica. Le quote sindacali sono in genere assai alte negli USA: dal sito di UAW si evince che per aderire al Sindacato si pagano, nella gran parte degli stabilimenti dove UAW è presente, 13,75 dollari a settimana, che sono quasi 700 dollari all’anno (peraltro deducibili dalle imposte).

Le critiche a questa gestione della nuova leadership UAW si sono appuntate, oltre che sul non coinvolgimento contemporaneo dei lavoratori nello sciopero, su alcuni atteggiamenti di Fain: il giuramento a presidente del Sindacato fatto sulla Bibbia della nonna, precisando che i miliardari avranno difficoltà ad entrare nel Regno di Dio; la busta paga del nonno operaio nel portafoglio, ecc. Ma il primo era un evidente collegamento con una parte di tradizionale classe operaia statunitense, lo zoccolo duro operaio del Midwest, di origine italiana o polacca. Il secondo, una consuetudine, quella di avere un ricordo, una foto o quant’altro, di parenti operai che molte e molti mostravano ai giornalisti ai picchetti, a dimostrazione dell’attaccamento familiare all’azienda, che doveva essere ricompensato nel contratto.

Non sono mancate violenze e provocazioni contro i picchetti: UAW ne aveva denunciato a fine settembre episodi in Michigan, Massachusetts e California. Il caso più grave a Flint, Michigan, quando un’auto che usciva dagli uffici della GM ha investito e ferito, per fortuna non gravemente, cinque lavoratori. Si è trattato di appaltatori non sindacalizzati. UAW aveva anche affermato che in un caso, in California, i provocatori avevano puntato pistole sugli scioperanti davanti ad una fabbrica Stellantis. L’azienda aveva smentito il fatto e il suo coinvolgimento, contro-denunciando fatti violenti compiuti dagli scioperanti.

LA FIRMA DEI CONTRATTI

Dopo il primo accordo, il 25 ottobre con Ford, e il successivo, il 28.10 con Stellantis, anche General Motors (GM) ha firmato il 30.10 il rinnovo del contratto, che è stato poi sottoposto al voto degli organismi dirigenti del sindacato United Auto Workers (UAW) e poi a quello dei lavoratori. Alla firma con l’ultima impresa, erano contemporaneamente in sciopero solo 18.000 operai della GM sui suoi 46.000 dipendenti.

Valutare i risultati del rinnovo contrattuale non è facile (e lo hanno già fatto a novembre i lavoratori). Occorrerebbe un dettagliato confronto col contratto precedente. Il che non è facile. Anche perché i tre testi contrattuali sono lunghissimi. Quello della Ford ha più di 900 pagine e quelli di Stellantis e General Motors circa 400 pagine, sempre comprensive di scambi di decine di lettere tra le parti su vari argomenti. Lettere non sempre coerenti con le, assai enfatizzate dal Sindacato, acquisizioni contrattuali. Il voto dei lavoratori è avvenuto comunque prima della pubblicizzazione dell’intero testo dell’intesa.

Si potrebbe definire il contratto firmato una fotografia che ha alcune parti nitide, messe particolarmente in risalto dalla dirigenza sindacale e dalle riviste del lavoro che la sostengono (oltre che dalla gran parte dei media e dal Governo federale), e altre sbiadite. Occorre inoltre tener presente le foto precedenti (la situazione produttiva e sindacale ante rinnovo contrattuale) e quelle attuali (le iniziative sindacali tra i metalmeccanici non sindacalizzati e l’evolversi delle decisioni aziendali in merito alla transizione all’auto elettrica).

Un giudizio ponderato di un dirigente sindacale del caucus di maggioranza UAW afferma che: “Abbiamo posto fine alle lacrime versate, abbiamo recuperato la COLA e abbiamo ottenuto un grande aumento. Fatto molti passi avanti verso la transizione e la fine degli abusi temporanei. Ma non abbiamo restituito le pensioni a tutti, né l’assistenza sanitaria post-pensionamento a tutti”. Il caucus suddetto, principale sostenitori di Fain non ha dato indicazione di voto, segnalando la perplessità su alcuni aspetti dell’intesa.

L’aumento contrattuale medio certo del 25% della paga oraria (l’11% immediato) è spalmato su quattro anni e mezzo. La paga oraria più alta, raggiungibile in 3 anni e non più in 8, sarà nel 2028 di 42 dollari l’ora (comprensiva della parte di prevedibile adeguamento del costo della vita). Il ripristino del COLA, infatti, pur nelle modalità non integrali dell’aumento della vita applicate fino al 2007 e coi singoli aumenti che saranno integrati completamente nel salario soltanto nel 2028, porterà ad aumenti valutati dal Sindacato attorno all’8% (per un totale di aumento contrattuale del 33% medio) e può essere considerato un successo in tempi in cui gli automatismi salariali sono un tabù nel mondo.

Un altro è che i lavoratori con i salari più bassi avranno aumenti molto consistenti. Il Sindacato li ha valutati, per alcuni stabilimenti delle 3 aziende, dov’erano molto bassi, almeno del 150%. Essi sono assai diversificati: notevoli, appunto, per le retribuzioni più basse (la paga oraria iniziale per i lavoratori a tempo indeterminato aumenterà da 18 a 28 dollari) ma che non riescono, al netto dell’inflazione, a recuperare più di tanto la perdita di potere d’acquisto che gli operai con maggiore anzianità avevano subìto nel ventennio in cui era assente l’adeguamento automatico del salario all’aumento del costo della vita (ripristinato dall’attuale contratto). Tanto che la retribuzione massima si attesterà nel 2028 sui 42 dollari l’ora, che però, al netto dell’inflazione, potrebbe esser minore di quanto si guadagnava nel 2007. Qui sta forse una delle principali motivazioni del dissenso espresso, non solo ma soprattutto, in GM, l’azienda delle tre che ha una manodopera più anziana.

Comunque la retribuzione iniziale per i lavoratori a tempo indeterminato aumenterà da 18 a 28 dollari (posto che loro rientrino in questo contratto e non nella futura incertezza degli stabilimenti per l’elettrico).

Anche sulla questione centrale dell’abolizione dei lavoratori a livello inferiore (i c.d. tiers) e quelli temporanei (i temps), le opinioni risultano diverse tra il Sindacato, che sostiene che i cosiddetti tiers siano stati ora aboliti, e chi afferma che non tutti lo saranno e che sarebbe rimasta la possibilità di assumerne altri, inseriti a tempo pieno dopo 9 mesi. Le aziende comunque si sono opposte ad applicare anche ai molti tiers assunti dopo il 2007 le pensioni e l’assistenza sanitaria, quando si è in quiescenza, uguali a quelle dei loro colleghi assunti prima di quell’anno. Lavoratori a cui il contratto porterà invece un aumento dei contributi all’assegno di pensione, comunque sempre legato all’andamento di borsa. Le stesse varie opinioni sono presenti in merito a quanto ottenuto per i temporanei a tempo pieno, in cui l’inserimento definitivo, in media dopo 9 mesi di lavoro, è diversificato tra le 3 aziende mentre i nuovi temps saranno remunerati con soli 21 dollari.

Una lunga discussione in trattativa è avvenuta sul contratto da applicare quando i “vecchi” stabilimenti che producono veicoli a benzina saranno riconvertiti all’auto elettrica o addirittura realizzati ad hoc. Per quello Stellantis di Belvidere, chiuso ad inizio 2022, è stata ottenuta la riapertura (entro il 2027) per la produzione di camion e un altro stabilimento per i ricambi e le batterie per veicoli elettrici. Restano dei dubbi sul numero di operai che rientreranno in produzione nelle due fasi. Fain ha dichiarato che, in Stellantis, il Sindacato avrà diritto di sciopero non solo sulla chiusura delle fabbriche (necessario per avere tutte le garanzie di legge), come in Ford, ma anche nel caso in cui l’azienda si rimangiasse l’impegno di nuovi investimenti in impianti.

Per alcune fabbriche per veicoli elettrici è stata ottenuta l’applicazione del contratto ora firmato (previo voto dei lavoratori di adesione al Sindacato), per altre e per le future la situazione non è chiara. Il contratto firmato ora sarà applicato in due dei cinque nuovi stabilimenti che Ford costruirà, ma non in quelli in Tennessee e Kentucky, nel Sud refrattario al Sindacato e in collaborazione con un’impresa coreana, in cui UAW dovrà conquistare del tutto il consenso dei lavoratori. In GM e Stellantis pare che l’accordo sarà applicato, con un salario del 75% di quello dei corrispondenti operai delle attuali fabbriche di auto con motore a combustione interna, anche ai nuovi stabilimenti da costruire per i veicoli elettrici.

Nulla è stato ottenuto in merito alla richiesta di riduzione di orario a 32 ore pagate 40 ma solamente un giorno di ferie in più e 80 ore di cure parentali. Forse la rivendicazione era troppo in controtendenza rispetto ad una situazione “normale” in cui in molti stabilimenti si raggiungono le 60 ore settimanali con gli straordinari obbligatori e quelli volontari, assai diffusi. Nemmeno si è modificata la modalità di investimento del fondo pensione, affidato, come tanti, ad un’azienda di Wall Street e ad investimenti in borsa che potrebbero essere non completamenti sicuri per la tenuta degli assegni pensionistici.

Ben strano il “bonus a sorpresa” di 110 dollari al giorno, ottenuto in Stellantis e GM, le ultime due imprese a firmare l’accordo, ovviamente solo dagli operai degli stabilimenti che sono stati coinvolti nello sciopero.

Infine, il contratto, posto che lo volesse fare, non riesce ad entrare nel merito della gestione quotidiana della manodopera (ritmi e carichi di lavoro, controlli della produttività del singolo, ecc.).

IL VOTO DEI LAVORATORI SULL’INTESA

Sebbene i 3 contratti siano sostanzialmente simili tra loro, il risultato del voto degli operai è stato variegato per azienda e per dimensione degli stabilimenti: all’approvazione di due terzi dei lavoratori in Ford e Stellantis si è contrapposto il voto in General Motors (GM), in cui il 45% ha rifiutato l’accordo. Tanto che un giorno prima della diffusione dei voti, la ratifica del contratto GM pareva messa in discussione dal fatto che da 7 su 11 dei suoi grandi impianti arrivavano maggioranze per il NO. Il dissenso che si è manifestato soprattutto in GM non si può forse addebitare ai gruppi di base presenti in almeno 5 fabbriche delle Big 3, i quali hanno dato un’indicazione di voto negativo. Nemmeno è conseguenza della mancata indicazione di voto da parte del caucus di maggioranza UAWD.

Come si nota dal voto in GM, dove ha votato il 78% dei 46.000 operai e il SI’ ha raggiunto solo il 54,7% (il 53,2% tra i lavoratori in produzione), il voto negativo è stato soprattutto diffuso nei grandi stabilimenti. Da quello storico di Flint (dove hanno votato 3.000 operai, di cui il 53% per il NO) a quello di Fort Wayne (3.000 lavoratori, di cui il 63% per il NO). L’accordo è stato “salvato” dal grande stabilimento di Arlington, che produce il 30% dei profitti della GM. Coinvolto nell’ultima fase dello sciopero, esso ha nei fatti “garantito la vittoria” in GM col suo 60% di SI’ sui 3000 votanti. Hanno votato SI anche tante piccole strutture come i magazzini ricambi.

In Stellantis hanno votato in 26.000 e il SI ha raggiunto il 68%. Contrario, tra i grandi impianti, solo il 55% degli operai di Jeep Toledo. Alla Ford solo il 54% dei 3.600 lavoratori dello stabilimento Kentucky Truck Plant, il più grande dell’azienda, hanno votato NO e il 68% dei 35.000 votanti ha approvato.

Se il NO avesse prevalso in un’azienda, le trattative avrebbero dovuto riprendere con essa.

Chiusa la fase contrattuale, sono iniziati i prevedibili problemi di gestione contrattuale.

Shawn Fain ha definito la recente mossa di Stellantis di licenziare circa 539 dipendenti temporanei “atroce” e “vergognosa”, promettendo di reagire per proteggere quei lavoratori del gruppo automobilistico, che Stellantis ha deciso di non considerare più necessari.

UAW ALL’ATTACCO DELLE AZIENDE ANTISINDACALI

A partire dal successo, se pur variegato, della vertenza di autunno delle Big 3, che aveva, assieme agli scioperi in altre settori e aziende, ridato centralità alla classe lavoratrice statunitense, UAW aveva annunciato nel novembre scorso, una campagna simultanea di sindacalizzazione presso 13 case automobilistiche in tutto il paese, che, in caso di successo, porterebbe all’adesione di 150.000 lavoratori. Alcune di queste aziende non sindacalizzate dei marchi asiatici (Toyota, Honda e Hyundai) hanno già promesso aumenti di loro iniziativa. Hyundai, del 25% entro il 2028 (come ottenuto col contratto UAW stipulato con le 3 grandi). Volkswagen ha concesso l’immediato aumento dell’11% previsto da quel contratto, pur di non correre quello che considera un pericolo: il dover trattare negli USA un contratto collettivo con UAW. Si ricordi che Volkswagen vede in Germania la presenza di un rappresentante del Consiglio di fabbrica dei lavoratori all’interno nel Consiglio di Sorveglianza che nomina il Consiglio d’Amministrazione dell’impresa, in rappresentanza dei 675.000 mila dipendenti a livello mondiale.

Il clima ostile del Sud istituzionale e i timori delle maestranza spoliticizzate non facilitano il Sindacato: gli 11.000 lavoratori assunti dalla BMW nel 1992 nella sua nuova fabbrica del South Carolina erano soprattutto ex braccianti agricoli, maschi e bianchi, reperiti appositamente in zone rurali con scarsa popolazione nera. Cosa che poi hanno praticato anche altri marchi che si sono stanziati nel Sud degli USA.

Antisindacale e razzista non sono termini intercambiabili, ma a volte si incontrano in modi distruttivi (L.F. Leon). I dirigenti aziendali della coreana Kia, mentre assumevano in Georgia tessili esodati dalle fabbriche dismesse e mai sindacalizzati (mentre invece in Corea del Sud molti lavoratori Kia sono iscritti al Sindacato), chiesero, ancora nel 2010, se potevano pagare di meno gli operai neri. Peraltro queste stesse aziende asiatiche sono state oggetto, non solo di lotte contro le politiche del padronato e di rifiuto della loro cultura militaristica e dell’ideologia produttiva da esse imposte, ma talvolta di razzismo contro i “gialli”.

Negli scorsi anni, il sindacato statunitense UAW era stato sconfitto nelle campagne per rappresentare i lavoratori degli stabilimenti Nissan di Canton (Mississippi), Mercedes di Vance (Alabama) e Volkswagen di Chattanooga (Tennessee).

Ora invece UAW ha annunciato che, dal novembre 2023 a metà febbraio 2024, più di 10.000 lavoratori di 13 fabbriche non sindacalizzate hanno già chiesto la tessera sindacale. Anche quelli della Mercedes-Benz dello stabilimento di 3.600 dipendenti a Tuscaloosa e della Volkswagen di Chattanooga, entrambi in Alabama. In Mercedes-Benz ci sarebbero già 1.500 firme su 5.000 operai (raccolte in un mese e mezzo); in Volkswagen, più della metà dei 5.500 operai.

I lavoratori della Hyundai hanno organizzato un dibattito pubblico per discutere della propria campagna sindacale UAW, che ha superato il 30% di firme raccolte. L’assemblea, che si è svolta nel giorno-ricordo di Martin Luther King (ucciso a Memphis, nel Tennessee, mentre sosteneva gli operatori sanitari in sciopero) ha collegato le lotte per il Sindacato a quelle per i diritti civili e ha controbattuto i videi antisindacali dell’azienda trasmessi nei reparti e i ripetuti interventi contro UAW da parte delle Istituzioni di quello Stato. In assemblea, gli operai hanno parlato delle loro condizioni lavorative: alti carichi, orari dilatati, infortuni, repressione delle assenze (in Hyundai USA non ci sono giorni di malattia retribuiti e agli operai è imposto di restare entro il 99% di presenza per non entrare in una procedura progressiva di contestazione disciplinare, contrizione richiesta dall’azienda per iscritto e, al terzo avvertimento, di licenziamento automatico).

Anche Tesla sta distribuendo aumenti di stipendio a molti operai in tutti gli Stati Uniti, secondo i comunicati affissi presso l’impianto di assemblaggio veicoli dell’azienda a Fremont, in California. Il suo amministratore delegato, Egon Musk, ha ribadito nel novembre scorso la sua tradizionale posizione: “Non sono d’accordo con l’idea dei sindacati”. Il National Labor Relations Board (NLRB), l’agenzia federale che deve garantire i diritti di sindacalizzazione, ha sancito che Tesla ha violato le leggi federali sul lavoro in più di un’occasione. Nel 2018, ad esempio, Musk aveva twittato che i lavoratori dello stabilimento Tesla di Fremont avrebbero perso le stock option se si fossero sindacalizzati. Una corte d’appello federale ha stabilito che ciò equivaleva ad una minaccia illegale.

Il presidente di UAW ha precisato in un video che il Sindacato intende raggiungere in questa campagna di sindacalizzazione almeno il 70% di adesioni preventive dei lavoratori di ogni stabilimento dove s’intende aprire una contrattazione collettiva, per chiedere poi alle imprese di considerarlo sufficiente al riconoscimento del Sindacato, senza il passaggio attraverso le elezioni. Questa impostazione è assai difficile da raggiungere. Non solo perché in quegli stabilimenti non esiste, se non per pochi operai, una tradizione collettiva di lotte, ma anche perché la maggior parte delle imprese statunitensi non rinunciano a poter praticare le tradizionali, non sanzionate, attività di union busting (l’anti-sindacalismo padronale, appaltato anche ad aziende specializzate).

UNO SCONTRO ANCHE POLITICO

La campagna di sindacalizzazione in corso, così come il rinnovo contrattuale delle Big 3 dell’auto USA in autunno, ha aperto anche un versante politico. Simbolizzato a Detroit dalla presenza del presidente Biden a un picchetto e dell’ex presidente Trump a un comizio in una fabbrica non sindacalizzata.

All’inizio di gennaio, 33 senatori del Partito Democratico hanno scritto una lettera agli amministratori delegati di Tesla, Rivian, Lucid, BMW, Honda, Hyundai, Mazda, Mercedes, Nissan, Subaru, Toyota, Volkswagen, chiedendo loro di non bloccare illegalmente gli sforzi di sindacalizzazione UAW nei loro stabilimenti di produzione.

Invece, con un comunicato stampa pubblicato sul sito dello Stato, la governatrice dell’Alabama Kay Ivey, appartenente al Partito Repubblicano dal 2002, ha preso posizione contro UAW. Uno degli stabilimenti più grandi non sindacalizzati, quello della Mercedes-Benz realizzato nel 1993, è infatti in Alabama. Ivey sottolinea che da allora, l’Alabama è diventata uno dei primi cinque Stati degli USA produttori di autoveicoli, con la presenza di cinque aziende di livello mondiale che impiegano quasi 50.000 lavoratori. Secondo la Governatrice, tali lavoratori sono ben retribuiti e tutto questo “è stato ottenuto senza una forza lavoro sindacalizzata”. Cioè, “il nostro successo è stato coltivato in casa, alla maniera dell’Alabama, uno Stato in cui i datori di lavoro vogliono fare affari perché sanno di poter avere successo”. Ma ora, afferma preoccupata Ivey, il modello di successo economico dell’Alabama è sotto attacco, poiché “un sindacato nazionale, l’UAW, sta intensificando gli sforzi per colpire le case automobilistiche non sindacalizzate in tutti gli Stati Uniti, comprese quelle dell’Alabama” e “chiederà a quasi 50.000 alabamiani: volete continuare ad avere opportunità e successo alla maniera dell’Alabama? O volete che siano interessi speciali esterni a dire all’Alabama come fare affari?” La Governatrice conclude la sua dichiarazione con la frase “lavoriamo più duramente di chiunque altro e produciamo le migliori automobili del mondo. Non dobbiamo permettere all’UAW di dirci il contrario”.

L’Alabama è uno degli Stati degli USA in cui vigono le right-to-work laws e anche per questo, ha attratto numerose imprese che possono godere di norme fiscali e del lavoro assai appetibili per loro. Inoltre, il basso costo della vita permette di pagare retribuzioni più basse di quelle previste dai contratti stipulati nel resto degli USA.

Interessante è non solo che UAW abbia assaltato le altre aziende auto, ciò che aveva sempre rinunciato nella sua storia, ma anche, mentre nel passato era sempre stata una sostenitrice di tutte le iniziative dei governi israeliani, che abbia aderito ad inizio dicembre 2023 alla campagna per il cessate il fuoco a Gaza. Cosa che la confederazione AFL-CIO, a cui UAW aderisce, ha fatto solo a metà febbraio 2024. Non si può dimenticare che UAW rappresenta iscritti che sono direttamente coinvolti nella produzione di armi e che lavorano per uno dei cinque produttori degli USA che forniscono la stragrande maggioranza delle armi a Israele. Contemporaneamente, a fine gennaio, UAW ha dato il tardivo appoggio all’elezione di Biden, definendo Trump un crumiro (a scab) e un miliardario da combattere. Mentre Trump ha invitato i lavoratori metalmeccanici a sbarazzarsi di Fain, che definisce a dope (“una droga”, ma anche “un tonto”) e UAW “un’arma di distruzione di massa dell’industria auto statunitense” (quella che, secondo lui, deve continuare a produrre veicoli a benzina). E accampa un appoggio elettorale del Sindacato dei camionisti (Teamsters), dopo che esso ha avuto incontro con lui, come con gli altri candidati nelle elezioni presidenziali di novembre.

LE PROSPETTIVE UNITARIE

La campagna di sindacalizzazione totale del settore auto statunitense intrapresa da UAW è impervia ma potrebbe rappresentare una premessa indispensabile per un, assai futuribile, contratto collettivo dei metalmeccanici, che negli Stati Uniti non esiste. UAW sta anche facendo, a partire dalla fissazione della data di scadenza dei tre contratti che ha firmato con le Big 3 (il 30 aprile 2028), un tentativo di unificazione delle scadenze contrattuali del mondo del lavoro degli USA, prefigurando anche la proclamazione di uno sciopero generale (avvenimento del tutto desueto negli USA) a partire dalle aziende sindacalizzate da UAW ma estendibile da altri Sindacati. Sciopero centrato sul diritto generalizzato ad una pensione certa, non legata alle pericolose oscillazioni di Wall Street.

Il Primo Maggio, seppur nato dai fatti di Chicago del 1886, che hanno portato all’impiccagione dei Martiri di Haymarket, gli anarchici organizzatori di quegli scioperi, non è data festiva negli USA. Ma il dirigente sindacale UAW Brandon Mancilla ha dichiarato: “Vogliamo costruire un movimento operaio che combatta insieme. E l’appello per allineare i contratti, in modo che scadano il primo maggio del 2028 è esattamente questo”. “Se vogliamo veramente affrontare la classe dei miliardari e ricostruire l’economia in modo che inizi a lavorare a beneficio di molti e non di pochi, allora è importante non solo colpire, ma che colpiamo insieme”.

UAW è dunque parte di un movimento sindacale articolato che dimostra un notevole attivismo in questi ultimi anni. Il dato importante, osserva il New York Times, è che oggi esso “è più giovane e diversificato, e conta molte più donne rispetto allo stereotipo sindacale”. Lo si vede anche nei videi della convezione di apertura della vertenza UAW, nella manifestazione di Detroit che ha aperto gli scioperi, nelle foto e nei video dei picchetti.

E’ indubbio che i lavoratori statunitensi sono in movimento verso un futuro non delineato. Alla ricerca di un prospettiva collettiva che li allontani dal tradizionale individualismo, sancito spesso anche dalle leggi vigenti. Le quali, soprattutto quelle di Stati degli USA, riconducono il rapporto di lavoro ad una sedicente parità tra le parti (“tu, lavoratore, puoi lasciare l’azienda quando vuoi; io, padrone, ti posso licenziare senza giustificare il motivo).

Quale prospettiva potrà essere unificante? Un Partito del Lavoro? Difficile con una storia statunitense che spesso lo ha proposto ma mai lo ha creato. Soprattutto per la repressione storica delle sinistre statunitensi e per l’uni-nominalismo stretto delle elezioni nazionali e locali, in cui un nuovo Partito, come quelli minori già esistenti, raccoglierebbe poco sul terreno elettorale.

Migliore fortuna e forte necessità ha invece l’unificazione delle forze del lavoro, ora frantumate in decine di Sindacati, non tutti raggruppati, peraltro con ampia autonomia, nelle due Confederazioni “ombrello” statunitensi. Questa unità può crearsi dal basso, come spesso sta avvenendo, nelle vertenze, negli scioperi e nelle manifestazioni e qualunque forma assuma oggi il risveglio sindacale negli Stati Uniti (all’interno delle due grandi Confederazioni, attraverso la fondazione di Sindacati indipendenti più o meno collegati alle precedenti, con iniziative di gruppi di lavoratori di base) dovrà avere il principale obiettivo di unificare le tante persone che nel mondo del lavoro statunitense e fuori da esso (nella povertà e nella disoccupazione, nelle iniziative contro il razzismo, per l’ambiente, per i diritti sociali alla casa, alla sanità, alla pensione) hanno la necessità di una società migliore di quella basata sul profitto individuale.

ALCUNI RIFERIMENTI:

J. Brecher, How to Revive the Labor Movement, Dissent, 3.2.2023

K. Brown – L .Leon, J. Slaughter, ‘No Justice, No Jeeps!’ Scenes from the Auto Workers Strike, Labor Notes, 15.9.2023

M. Asters – R. Gibney, Next on the United Auto Workers’ to-do list, The Conversation, 27.9.2023

J. White – S. Jones, Leaked details of UAW’s sellout contract at Ford reveal pro-company deal, World Socialist Web Site, 29.10.2023

M. Buer – T .Ostrow, UAW won big in 2023 and they’re not done, The Real New Network, 18.1.2024

J .Abbott, Why We Need Union Halls in Every Town, Jacobin, 29.1.2024

L.F. Leon, Hyundai Workers Roll the Union On in Alabama e The South, where Automakers go for a discount, Labor Notes 1.2 e 2.2.2024

https://uaw.org/homepage-2/

Posted in Internazionale, Lavoro, mobilitazioni sindacali.


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