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Omaggio a Valerio Evangelisti

Dal numero 4 di Collegamenti (scaricabile integralmente da QUI) riportiamo un articolo di Carla Pagliero (contenente una intervista rilasciata dallo scrittore a “Collegamenti” nel 2002)

Il 18 aprile del 2022 è morto Valerio Evangelisti, il primo autore italiano ad imporsi a livello internazionale in un genere letterario, quello fantastico, che nella narrativa italiana contemporanea non ha mai potuto contare sull’attenzione della critica e dell’intellighènzia letteraria. La scomparsa di Evangelisti ha, peraltro, risvegliato un certo interesse sull’autore e sulle sue opere. Molti i tributi e le iniziative che gli sono stati dedicati, ad incominciare da una raccolta di saggi di Evangelisti, curata da Alberto Sebastiani, uscita di recente da Odoya, dal titolo Le strade di Alphaville. Conflitto, immaginario e stili nella paraletteratura. Il titolo riprende una trilogia dello scrittore bolognese pubblicata fra il 2001 e il 2006, – Alla periferia di Alphaville, Sotto gli occhi di tutti, Distruggere Alphaville– con saggi dedicati alla letteratura di fantascienza, al cinema, e riflessioni che trattano di autori classici (Dick, Lovecraft), polemizzano con autori spinosi (Oriana Fallaci) e approdano spesso a considerazioni sulla politica e sulla letteratura fantastica come critica e strumento utile per intervenire nel sociale, grazie alle strade percorribili attraverso il potenziale dell’immaginazione e alla possibilità di decostruire e riscrivere le narrazioni egemoni. Il titolo è un omaggio a Godard che descrisse, in Alphaville, una Parigi a tratti allucinati, dove si consuma una folle dittatura tecnologica; mentre il riferimento ad una “paraletteratura” fantascientifica rispecchia, con intenzioni polemiche, una sua storica critica alla letteratura “alta” che snobba con sufficienza i generi letterari. “Poiché produco narrativa di genere, scrive, tanti interlocutori che non mi hanno mai letto (giornalisti, intellettuali, scrittori di “rango”, operatori dei media, dirigenti eccetera) sono a priori convinti che io sia un mezzo scemo […] da coinvolgere nelle esperienze più bislacche”.

Rompere i muri fra i generi letterari, attraversare mondi paralleli e multiversi dai colori spesso tetri, sono pratiche che fanno parte della sua personalità di scrittore, e che Evangelisti ha perseguito con metodo nella sua attività come romanziere, saggista e articolista. Nel 1996, con la rivista cartacea Carmilla, diventata dopo quattro numeri Carmillaonline, propose uno strumento che intersecava la critica letteraria, la narrazione e l’analisi politica, interesse sempre presente nella sua esperienza e nella sua filosofia di vita. La rivista nacque come costola dell’esperienza editoriale “Progetto memoria”, rivista di storia dell’antagonismo sociale, nata nel febbraio del 1988, come organo dell’Associazione Culturale Progetto Memoria, quando questa associazione è confluita nell’Archivio Storico della Nuova Sinistra “Marco Pezzi” di Bologna. Il progetto aveva come obiettivo la conservazione di una memoria che rischiava di essere cancellata in tutti i suoi aspetti che non fossero strettamente giudiziari, e quindi esecrabili, e nello stesso tempo ricostruiva una storia della crisi della sinistra antagonista italiana negli anni ’70. D’altra parte, Evangelisti, laureato in Scienze Politiche, a Bologna, nasce come storico e come ricercatore, un interesse che è strettamente legato alla sua militanza politica che si è svolta negli ambienti della sinistra extraparlamentare, nell’ambito dei gruppi dell’autonomia e delle situazioni rivoluzionarie dei paesi del Terzo Mondo. Nel 2004 lanciò una raccolta di firme in segno di solidarietà con Cesare Battisti dei Proletari Armati per il Comunismo, e pubblicò diversi scritti che offrivano una narrazione alternativa a quelle vicende controverse; nel 2009 si è presentato alle elezioni europee nella Lista Anticapitalista, e ancora nel 2021 si è presentato come capolista alle amministrative bolognesi per Potere al Popolo.

L’attività come ricercatore lo ha coinvolto fino al 1990, all’Università di Bologna, in parallelo con il suo lavoro come funzionario al Ministero delle Finanze, e prima di dedicarsi all’attività di scrittore, che è diventata attività prevalente grazie alla popolarità raggiunta dal suo personaggio più noto, l’inquisitore Eymerich, pubblicato da Urania dal 1993 al 2018

I suoi saggi storici costituiscono un corpo di 5 volumi e la ricostruzione storica dettagliata e puntigliosa è sempre la base di tutti i suoi romanzi, sia quando parla del medioevo di Eymerich, l’inquisitore, personaggio realmente esistito, sia quando mette al centro della narrazione la nascita dei Wobbly americani o la storia del Messico e degli Stati Uniti, le avventure dei pirati dei Caraibi, la storia romanzata di un personaggio come Nostradamus o le vicende di braccianti romagnoli vissuti nell’Ottocento. In Evangelisti la storia è sempre lo scenario di partenza, il backstage su cui si agitano e si intrecciano, a più livelli e periodi, narrazioni intrecciate e complesse. Un talento naturale e non comune per la scrittura gli consente di passare da un genere letterario all’altro, attraversando periodi storici e mondi solo apparentemente distanti: da un livello a quello successivo, dove la fantascienza è solo il pretesto per dare volume e tridimensionalità alla realtà e rendere epica la quotidianità.

Dei suoi tanti personaggi il più famoso rimane quello dell’inquisitore Eymerich, un frate domenicano, realmente vissuto nel XIV secolo, tanto colto, arguto, intelligente quanto crudele, manicheo, inflessibile nel perseguire la sua fede assoluta e rigida. Eymerich per certi aspetti rappresenta il lato oscuro che ci abita, quello con cui è necessario confrontarsi per conoscerci ed accettarci. Eymerich, l’inquisitore, nel 1994, fu il primo romanzo della serie dedicata al frate spagnolo, pubblicata da Mondadori, a cui seguirono altre pubblicazioni sempre per la prestigiosa testata milanese, l’ultima del 2018. Nel 2007 il suo personaggio ha ispirato un gioco di ruolo, Il Mondo di Eymerich e, nel 2012, un videogioco: Eymerich, inquisitore: la Peste. I romanzi di Evangelisti sono stati pubblicati in diverse lingue e hanno vinto premi prestigiosi: il premio Urania in Italia, il Grand Prix de l’Imaginaire e il Prix Tour Eiffel in Francia. Il lascito di Evangelisti è destinato a durare, e sicuramente la popolarità delle sue opere avrebbe potuto essere più ampia se l’autore avesse fatto scelte politiche e letterarie diverse, ma l’enorme corpo di scritti prodotto ci lascia un’eredità consistente e variegata, costituita da migliaia di pagine e riflessioni che ci trasmettono un pensiero solido e articolato, teso a dimostrare che anche attraverso la scrittura fantastica si può dare un contributo al ribaltamento di un sistema ingiusto.

A lui rendiamo omaggio riprendendo un’intervista raccolta nel 2001, subito dopo i fatti di Genova, pubblicata in Collegamenti Wobbly nuova serie, n 1 gennaio-giugno 2002, è interessante notare l’attualità degli argomenti trattati e la coerenza cristallina della posizione politica e intellettuale di Evangelisti, una logica non improntata ad intenti dottrinari ma piuttosto interlocutori e dialogici: una storia dove le verità e le soluzioni si scoprono insieme, leggendo e usando il racconto come strumento: un “medium” che, come diceva Mc Luhan, diventa il messaggio

La struttura compositiva dei tuoi romanzi, sempre estremamente complessa, dà vita a mondi paralleli che intrecciano inscindibilmente porzioni di passato, presente, futuro. Quali sono i modelli narrativi da cui hai tratto ispirazione?

Oserei dire nessuno. E ‘vero che l’idea iniziale delle diverse storie che si intrecciano mi è venuto da un romanzo americano (Mostri di Dean R. Koontz) che, con quell’espediente, generava una suspence ai limiti del sostenibile. Poi, però, ho messo quell’idea al servizio di un progetto diverso: incrociare i periodi storici, usando come costanti l’intolleranza e la violenza da essa generata. Ciò mi ha consentito, tra l’altro, di spingere il mio sguardo sul presente, che mi interessa almeno quanto il passato, se non di più.

L’evoluzione della SF da Verne ad oggi segna il passaggio da una concezione del progresso di stampo positivista, ricco di promesse ed aspettative ad una visione del futuro decisamente più problematica, priva di valori e certezze. Per molti autori, autrici soprattutto, ad esempio la Zimmer Bradley e la Le Guin, la narrativa fantastica è diventata un modo per proporre al lettore un progetto criptato nelle vicende esposte, teso a migliorare l’umanità attraverso un percorso interno all’individuo. In questo modo di porsi, è riconoscibile, mi sembra, un approccio tipico delle generazioni che si sono formate negli anni Sessanta-Settanta. Nei tuoi romanzi è possibile leggere un progetto didattico-pedagogico?

Credo di no. Io, francamente, non ho insegnamenti da impartire, né progetti da proporre. Se ce ne sono li affido al lettore, o li riservo a me stesso in altre sedi. Ciò che tento di trasmettere rischiando l’ambiguità (data l’assenza di buoni e cattivi, nelle mie storie, sono stato persino scambiato per uno scrittore di destra, o per un cinico di vocazione), è una lettura controversa e problematica del reale. Ritengo che sia essenziale, in questo momento storico. Ciò che più manca, in giro, è la problematicità, che poi implica profondità. La destra, quella vera, usa come arma la semplificazione estrema, fino alla superficialità che la tiene in vita. La sinistra, quella vera, dovrebbe invece puntare sulla complessità. Meno digeribile e meno facile da spacciare, certo, salvo ricorrere a strumenti idonei. Nel mio caso il romanzo popolare.

Tra gli archetipi rintracciabili nei tuoi romanzi si ritrova la coppia vittima-carnefice, alla luce di fatti di Genova come leggeresti i ruoli giocati dai manifestanti e dagli organizzatori della Kermesse?

Esito un poco a formulare un giudizio netto dato che, personalmente, a Genova non c’ero. In linea di massima, disapprovo che le vittime si consegnino quasi inermi nelle mani degli aguzzini. Specie quando la posta in gioco è un summit di criminali come il G8, e la tranquillità del suo svolgimento. Quella tranquillità andava turbata, ma mi è parso che il compito sia stato essenzialmente delegato alle forse di repressione, mentre dall’altra parte ci si dilettava con puerilità (tipo gli specchietti con cui “accecare” le forze dell’ordine, o le ripetute esercitazioni a beneficio delle tv) e si dimostrava un controllo minimo sulle proprie stesse componenti. Ripeto, non ho nessuna veste per parlare, ma per il futuro auspicherei una migliore organizzazione.

Eymerich, hai scritto spesso, è in fondo un idealista che porta il suo credo ad un livello di intransigenza e di intolleranza esemplari. Come è nata la figura dell’inquisitore, si ispira ad una persona e/o a un momento particolare della tua vita?

Eymerich nasce da una sorta di “autoanalisi”. Guardando in me stesso, ho ricercato le mie parti in ombra e le ho riversate su un unico personaggio. Da un lato mi sono così in parte liberato da un fardello, ma dall’altro ho chiamato i lettori a fare lo stesso gioco. C’è in tutti noi un’area che ospita le stesse pulsioni del mio inquisitore, ed è terribilmente affascinante. È necessario portarla allo scoperto, per dominarla.

Quando ho visto alla televisione il crollo delle torri gemelle di New York ho pensato, lì per lì, di assistere ad una scena da un film di fantascienza. Ci puoi raccontare come ha vissuto l’11 settembre lo scrittore di fantascienza Valerio Evangelisti?

È una domanda pericolosa da farmi. Negli anni Ottanta sono stato personalmente testimone del terrorismo spietato applicato dagli Stati Uniti in America Centrale, ed alcuni miei conoscenti sono morti nel bombardamento di Panama voluto da Bush sr. Che fece diverse migliaia di vittime innocenti. Quando ho visto in tv l’attacco alle twin towers, ho provato orrore come tutti, soprattutto pensando alla tragedia dei passeggeri degli aerei dirottati. Ma a questa impressione si è sovrapposto un pensiero forse cinico, però spontaneo: “finalmente anche gli americani capiscono cosa vuol dire”. Razionalmente parlando, si trattava di una considerazione sbagliata: l’attacco proveniva da gente al servizio della peggiore delle cause però non posso negare di averla fatta. Non tanto in rapporto alle twin tower, quanto alla distruzione di un’ala del Pentagono, di cui si parla il meno possibile. Se avessero colpito la Casa Bianca, avrei forse gioito.

Per anni hai portato avanti un “Progetto Memoria” teso a ricostruire la storia dei movimenti antagonisti, che cosa rimane di quell’iniziativa?

Lo spirito. Lo stesso gruppetto centrale che faceva “Progetto Memoria” fa ora “Carmilla”, rivista di letteratura fantastica. Basta scorrerla per capire che i contenuti sono quasi gli stessi. Sono solo cambiati i modi di proporli, e l’esito è stato, in tempi difficilissimi una penetrazione molto maggiore.

Puoi riassumere brevemente il tuo percorso politico?

Il mio percorso politico è facile da riassumere: sinistra extraparlamentare negli anni Settanta, Autonomia Operaia dopo il Settantasette. Negli anni Ottanta, più che dell’Italia, mi sono occupato del Nicaragua e dell’America Centrale. Ho rinunciato a ogni attività direttamente militante solo pochi anni fa (circa 1997), dopo averla iniziata nel ’68-’69.

Mi dicevi di avere già avuto occasione di conoscere la rivista “Collegamenti Wobbly”.

Ho letto “Collegamenti” fin dai primi numeri. Credo di aver incontrato Cosimo Scarinzi a Milano, ad una riunione della rivista “Primo Maggio”.

Fra tanta gente che sembra aver scordato le sue esperienze giovanili devo dire che fa piacere ritrovare qualcuno che le rivendica e porta avanti il suo percorso con coerenza.

Del mio passato non mi sono mai pentito perché non ritengo di avere nulla di cui pentirmi, neanche quale parte di un soggetto collettivo. La rivista “Carmilla”, che sotto il pretesto della fantascienza parla di tutt’altro, riflette questo atteggiamento mio e dei compagni con cui ancora lavoro. Detestiamo la volgarità, più ancora che la criminalità, di ciò che ci vediamo attorno. Ciò ci conferma la giustezza di fondo delle nostre scelte iniziali, anche se è indispensabile adeguare il linguaggio al nuovo contesto.

Il tuo impegno come scrittore di fantascienza, quindi, può essere visto come una continuazione dell’analisi politica e sociale con altri mezzi?

Mi auguro di sì. Quanto meno, questo è il mio disegno apertamente confessato.

E infine chi è oggi Eymerich? Uno, nessuno, centomila…

Eymerich ha vinto la sua battaglia secolare, ed è al potere quasi ovunque. Per combatterlo occorre conoscerlo. Ma soprattutto occorre individuare quella parte di lui che abita la nostra psiche.

Nota: l’intervista uscita su Collegamenti Wobbly nuova serie, n.1° gennaio-giugno2002, è stata raccolta via e-mail tra il 19 e il 24 novembre. Per quanto riguarda le numerose iniziative che ruotano attorno alla figura dell’inquisitore Eymerich vale la pena di fare un attento giro sul sito a lui dedicato http://www.eymerich.com

Sempre attiva la rivista Carmilla on line, un prezioso contenitore ricco di articoli, riflessioni, analisi sia politiche che letterarie, nel complesso la più autentica fonte di materiali per iniziare a conoscere Valerio Evangelisti

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