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MESSICO. VIAGGIO AL CENTRO DELLA “QUARTA TRASFORMAZIONE”

Da “Collegamenti” n. 5, novembre 2023 riportiamo questa ampia analisi di Claudio Albertani sulla situazione in Messico.

Scommettere sull’autonomia individuale e collettiva.

Lasciar marcire ciò che marcisce e prepararsi per il raccolto.

Questo è il principio alchemico che presiede

alla trasmutazione della società mercantile nella società viva

Raoul Vaneigem

Dopo quattro anni dall’insediamento di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) come primo presidente di sinistra del XXI secolo, il Messico continua ad essere un paese di ricchi scandalosi. Ai tempi della “Quarta Trasformazione” (4T) -le le altre tre sarebbero l’Indipendenza, la Riforma [liberale 1858 -1861] e la rivoluzione – 258 mila persone possiedono fortune individuali superiori al milione di dollari, 15 di queste figurano nella lista Forbes degli uomini più ricchi del mondo. Contemporaneamente, circa 100 milioni su un totale di 132 milioni di messicani soffrono un qualche grado di povertà, una situazione che preannuncia una fine agitata del sessennio presidenziale, nonostante l’indubbia popolarità del presidente.

Domenica 27 novembre 2022, AMLO ha convocato una manifestazione, presumibilmente per celebrare l’anniversario del suo arrivo al Palacio Nacional, il primo dicembre 2018. Quello che è certo è che aveva urgente bisogno di oscurare l’affollatissimo corteo dell’opposizione di domenica 13, quando centinaia di migliaia di cittadini avevano manifestato contro l’intenzione di porre l’”Instituto Nacional Electoral” (INE) sotto il controllo governativo. In definitiva, più di un milione di persone hanno risposto alla convocazione di AMLO e di Morena, il partito da lui fondato nel 2011 per arrivare al potere. Anche se c’erano partecipanti “acarreados” [“precettati”, obbligati o pagati per partecipare] e autobus finanziati dal governo, buona parte dei manifestanti ha partecipato per convinzione e questo sembrava bilanciare la partita.

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MIGLIAIA DI LAVORATORI BAMBINI NEGLI STATI UNITI

da “Collegamenti” n. 5, novembre 2023 un articolo di Ezio Boero sul lavoro minorile negli USA

Carlo Tresca e William “Big Bill” Haywood furono entrambi, per più lungo tempo il secondo, componenti degli Industrial Workers of the World (IWW), un’organizzazione di lavoratori (ben più di un Sindacato e ancor oggi esistente) nata nel 1905 e oggetto di repressione statale negli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso. Tresca ricordò in un suo scritto la massiccia figura di Big Bill tenere un corso sui diritti dei lavoratori, attorniato da bambini, lavoratori anche loro. Accadde a Lawrence (nel Massachusetts), durante lo sciopero del 1912, quello dello slogan “Vogliamo il pane e anche le rose”. La città era la più grande manifattura tessile del mondo. Vi lavoravano in fabbrica metà degli abitanti: 40.000 operai di varie nazionalità, per la metà donne e bambini.

Già il programma dei Knights of Labour, uno dei primi Sindacati degli USA, nato attorno al 1870, voleva l’abolizione del lavoro minorile. Un loro volantino recitava: “Quando Gesù disse: – Lasciate che i pàrgoli vengano a me – non aveva una fabbrica dove intendeva metterli a lavorare per 40 centesimi al giorno”. Continued…

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Presentazione di “Collegamenti” a Milano 2 dicembre 2023

Presentazione della rivista a Milano presso Ateneo libertario viale Monza 255 sabato 2 dicembre ore 18,30

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APPUNTI….. DI CLASSE?

da “Collegamenti” n. 5 novembre 2023 riportiamo alcune considerazioni di Federico Giusti  di costante  attualità

Premessa
Avevamo scritto questo articolo a fine anno, a pochi giorni dallo sciopero generale del 2 Dicembre, a distanza di mesi abbiamo optato per una riscrittura del testo alla luce anche di quanto accade in Francia, in Gb e Germania con scioperi, generali e non, sorretti da rivendicazioni forti (aumenti contrattuali sopra il 10 per cento, salvaguardia dell’orario di lavoro e delle norme previdenziali per impedire l’aumento della produttività e l’innalzamento dell’età pensionistica).
A dicembre 2022 scrivevamo che lo sciopero generale era stata l’ennesima occasione perduta per alzare il livello di scontro e il conflitto nei luoghi di lavoro avendo prevalso le solite logiche divisorie tra sigle e nella palese incapacità di raggiungere molti posti di lavoro.
Riportiamo testualmente alcuni passaggi ” Certo che se pensiamo ad un salto di qualità del sindacalismo di base e della opposizione di classe ragionare con la testa rivolta al passato non è di aiuto come riproporre stancamente statuti interni alle singole organizzazioni o ritualità di vario genere.
E’ indubbio che la composizione di classe raccolta dalle varie sigle presenti differenze marcate, i sindacati di base con più anni alle spalle vantano una presenza nella PA o in settori produttivi diversi da quelli della logistica dove da tempo il conflitto con le associazioni datoriali e il mondo cooperativo ha raggiunto livelli tali da imporre alle autorità statali una campagna repressiva come dimostrano le inchieste della Magistratura e i teoremi associativi contestati a centinaia di quadri e di lavoratori.
Se fino a pochi anni fa il sindacalismo di base raccoglieva consensi nei trasporti, in settori del privato come fabbriche e grandi aziende un tempo pubbliche, nella PA, oggi possiamo asserire che la forza d’urto principale è rappresentata dalla logistica e dai servizi. Continued…

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SUL SALARIO MINIMO: ALCUNE BANALITÀ DI BASE

Dal n. 5 di “Collegamenti”, novembre 2023 riportiamo questo articolo di Cosimo Scarinzi

Nel corso dell’estate passata, d’improvviso, il tema del salario minimo, sino a quel momento considerato assolutamente non centrale, ha assunto una straordinaria rilevanza politica e mediatica.

È opportuno, di conseguenza, ricapitolarne alcune caratteristiche:

  • nella gran parte dei paesi europei il salario minimo esiste e, con ogni evidenza, non ha alcun carattere di eversione dell’ordinario funzionamento delle relazioni sociali capitalistiche.

Vale la pena di aggiungere che in più di un caso è superiore al salario medio delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. È, di conseguenza, il caso di domandarsi perché nel contesto italiano l’introduzione di questa misura solleva un’opposizione così forte e determinata.

  • l’argomento principale, un vero e proprio somaro di battaglia, che gli oppositori al salario minimo sollevano è che la stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori italiani lavorano in categorie dove i salari sono stabiliti dai contratti collettivi nazionali e che non ve ne sarebbe quindi alcun bisogno.

In realtà si tratta di una posizione ai limiti del surreale se si considera il peso del cosiddetto lavoro povero in Italia e cioè del lavoro contrattualmente retribuito intorno ai 5 Euro lordi all’ora. Nella pubblicistica corrente molti sostengono che il problema sarebbero i cosiddetti “contratti pirata”, e cioè dei contratti firmati da sindacati direttamente finanziati dal padronato e nella realtà inesistenti. In realtà i tre principali contratti del lavoro povero sono firmati da Cgil, Cisl e Uil nei comparti Vigilanza privata, Multiservizi e Servizi Fiduciari e riguardano diversi milioni di lavoratori;

  • siamo di conseguenza di fronte a una situazione in cui un intero

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FRANCIA: Uno sciopero efficace ed inatteso (sia dalla SNCF che dai sindacati) 23-25 dicembre 2022

Da “Collegamenti” n. 5 un articolo di G. Soriano sulle lotte dei ferrovieri francesi

Il contesto

La fine del 2022 vede un contesto europeo di forte inflazione – intorno all’8% – ma meno pronunciata in Francia, dove per il momento ci troviamo in media – ufficialmente – intorno al 4,7% (5,2% secondo l’INSEE); la perdita di potere d’acquisto per i salariati si aggirerebbe per ora intorno al 2,7%. Gli ultimi dati di dicembre parlano di un’inflazione superiore al 6%. Chi frequenta i supermercati per la spesa settimanale, constata piuttosto aumenti che si aggirano intorno al 15%, come sarà confermato dalle trattative tra industrie agroalimentari fornitrici e grande distribuzione nei primi mesi del 2023.

Dopo l’estate abbiamo avuto vari scioperi settoriali sulla questione dei salari. Durante l’anno circa 700 000 salariati avevano avuto un bonus legato ai profitti dell’impresa, con una media di 710 euro.

Dopo l’estate c’è stata una infinità di piccoli scioperi, in particolare nel mondo della scuola, che ha subito attacchi feroci, tagli drastici e repressione. In ottobre sembrava che gli scioperi delle raffinerie, che hanno determinato una penuria generalizzata di carburante su scala nazionale, potessero estendersi ad altri settori che erano già in agitazione: centrali nucleari, distribuzione dell’elettricità e del gas, ospedali, ma il sufflè è ricaduto nel giro di una decina di giorni e tutto è rientrato sotto il controllo del governo, che ha ripreso l’iniziativa.

Negli ultimi mesi dell’anno è stata varata la riforma del trattamento della disoccupazione: il numero di mesi di lavoro indispensabili per ottenerla viene aumentato, i sussidi vengono ridotti ed in particolare vengono colpite le fasce più deboli. Contemporaneamente aumentano le radiazioni degli iscritti alla disoccupazione (Pôle Emploi). Basta non rispondere ad una chiamata, o aver mal riempito un formulario, per essere espulsi o sospesi. Sembra che tutto venga messo in atto per ridurre il numero ufficiale dei disoccupati. Sotto Natale viene a galla un nuovo codicillo del nuovo progetto di legge che entra in vigore dal 1° febbraio: oltre ad una riduzione del 25% della durata delle indennità di disoccupazione, se la disoccupazione scende sotto il 9%, si scopre che il governo ha previsto una ulteriore riduzione del 40% del sussidio se il livello della disoccupazione (attualmente al 7,3%) dovesse scendere sotto il 6%. Alcuni pensano che tutti si concentreranno sulla contestazione di quest’ultima misura e nessuno parlerà più del 25% già varato, ed è quello che avviene. Il 3 gennaio questa proposta sparisce dal progetto governativo di riforma, ma ha probabilmente raggiunto il suo scopo. Nei fatti il governo toglie soldi ai disoccupati per darli alle imprese che utilizzano lavoro precario a tempo parziale.

Il sistema ospedaliero pubblico è sull’orlo del baratro, a causa delle condizioni di lavoro particolarmente dure che sono state messe in luce dall’epidemia di Covid (la riduzione del numero dei letti disponibili è continuata anche durante l’epidemia), i salari sono bassi ed insoddisfacenti, il personale sempre più scarso, tra le infermiere che se ne vanno perché non reggono più i ritmi ed il personale sospeso perché ha rifiutato la vaccinazione obbligatoria. La logica del governo sembra essere quella di peggiorare la situazione perché in seguito i pazienti siano pronti ad accettare la privatizzazione della salute, presentata come la soluzione per ogni problema. I medici di base – anche loro in numero sempre più ridotto a causa del numero chiuso delle facoltà di medicina – entrano pure loro in sciopero chiedendo il raddoppio degli onorari pagati dalla Sécurité Sociale.

La battaglia seguente riguarda una promessa della campagna elettorale di Macron: una riforma delle pensioni col passaggio dell’età pensionabile da 62 a 64 o 65 anni (1). Il progetto precedente – che il governo precedente, presieduto da Edouard Philippe, non era riuscito a portare a termine nel 2019-2020 – prevedeva una pensione a punti, e la soppressione di vari regimi speciali. La CGT e Sud erano contro, la CFDT favorevole. Il problema attuale del governo Borne è che tutti i sindacati sono uniti e contrari all’aumento dell’età pensionabile. La destra è disposta ad appoggiare il governo pur criticandolo perché non va abbastanza lontano. NUPES et RN si oppongono, ma se il governo utilizza l’articolo 49.3 – come l’ha fatto 10 volte di seguito negli ultimi mesi per far approvare il bilancio dello Stato e della Sécurité sociale – la riforma potrebbe passare in parlamento (2). Cosa che poi farà. Le direzioni sindacali pensano che molto dipenderà dal livello di mobilitazione nelle piazze e dall’appoggio dell’opinione pubblica, sono assai prudenti e sembrano riservare le loro forze per questa battaglia. Continued…

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CHE COSA C’ENTRANO I BRICS CON LA GUERRA IN UCRAINA?

Un articolo di Visconte Grisi da “Collegamenti” n. 5, novembre 2023

C’è un elemento che non viene adeguatamente considerato quando si parla delle motivazioni profonde della guerra in Ucraina, vale a dire l’importanza assunta dalla questione logistica e, in particolare, dal controllo dei porti e delle vie di comunicazione marittima del Mar Nero nel commercio del grano ucraino e delle materie prime russe. Questa motivazione profonda, che sovente viene nascosta dietro le rivendicazioni territoriali sul Donbass di cui non vengono specificate le ragioni, è venuta chiaramente in luce in seguito a un episodio del conflitto risalente ai primi di agosto e di cui hanno parlato le cronache.(1)

In quella occasione i russi hanno attaccato e “distrutto un grande silos granario e altre attrezzature portuali” situate nei pressi di Odessa a pochi chilometri dal territorio della Romania. L’azione mirava naturalmente a ostacolare l’esportazione dei cereali ucraini e, quindi, ad “eliminare il principale concorrente dal mercato” visto che “Russia e Ucraina sono tra i principali produttori agricoli mondiali”. L’Ucraina ha risposto all’attacco colpendo due navi russe nel porto di Novorossijsk sul Mar Nero, a poca distanza da un “gigantesco hub russo di esportazione di materie prime” comprendenti grano, petrolio, carbone e fertilizzanti. Per di più nello stesso terminal marittimo “arriva il petrolio del Kazakistan con cui l’Italia e l’Occidente hanno aumentato i contratti dopo le sanzioni a Mosca”, senza contare che “dietro l’etichetta del petrolio kazako si nasconde la fornitura di greggio russo”.

La guerra quindi può ostacolare, ma non riesce a fermare il commercio internazionale conseguente al formarsi del mercato mondiale. La stessa cosa si può dire per la guerra economica scatenata dagli Stati Uniti contro la Cina iniziata già ai tempi di Obama, portata poi a livelli più alti da Trump attraverso l’imposizione di dazi doganali e il blocco dei prodotti delle principali società tecnologiche cinesi come Huawei, politica poi proseguita da Biden, in particolare sulla questione dei chips o semiconduttori.(2) Per quanto riguarda questi ultimi abbiamo già notato che “recentemente il presidente Biden ha emesso il “Chips and Science Act 2022” il cui scopo è quello di riportare la produzione dei chips (semiconduttori) negli Stati Uniti, produzione che, al momento come già detto, viene effettuata per il 60% in Taiwan. Ma fare gli ingenti investimenti in capitale fisso necessari per la costruzione di impianti industriali per la produzione dei famosi chips nelle attuali condizioni economiche non è per niente facile né immediatamente profittevole. Dal dire al fare c’è di mezzo il mare”.(3)

Intanto la guerra in Ucraina si trascina, pur con il suo carico di morti e di distruzione, trasformandosi in una guerra di posizione, quasi più simile alla prima guerra mondiale che alla seconda. La prospettiva di una tregua appare lontana, nonostante che la situazione economico/sociale dei contendenti sia tutt’altro che brillante. Continued…

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DA UNA FINANZIARIA ALL’ALTRA: Riflessioni sulle politiche economiche del “nuovo” governo

Da “Collegamenti” n. 5 novembre 2023 un articolo di Renato Strumia

Nel settembre 2022 una coalizione di destra-destra ha ricevuto, per la prima volta nel dopoguerra, il mandato di governare il paese, con 12,3 milioni di voti su 51 milioni di elettori.

Una volta ancora il voto ha premiato quello che appariva l’elemento di novità, con l’investitura personale di una leader politica a lungo apparsa “fuori dai giochi” e priva di responsabilità nello sfascio progressivo del sistema paese. Era accaduto prima con Renzi, Di Maio, Salvini e compagnia cantante: meteore transitate veloci nel firmamento della politica, per poi disintegrarsi senza lasciare traccia, se non qualche scoria ancora depositata nel sottosuolo tossico del paese.

La vicenda di ”Giorgia” sembra inscritta nel solito tragitto, che porta i politici a conquistare il potere usando toni incendiari e agitando polemiche violente, per poi rientrare nei ranghi, delimitati dalle compatibilità e dai limiti intrinseci dell’azione di governo. Quello che stupisce, nella nuova formazione al governo, è la velocità e l’intensità di questo processo di allineamento, del tutto prevedibile e scontato.

La continuità delle politiche con la linea Draghi (del cui governo peraltro facevano parte sia Forza Italia che la Lega) è impressionante, su tutte le questioni di fondo. Tuttavia, è interessante rilevare i punti con cui il governo ha cercato di smarcarsi, “vendendo” gli elementi di rottura, prevalentemente identitari e categoriali, come strumento per dare soddisfazione al proprio elettorato di riferimento. Nient’altro che un tranquillizzante: “ora ci siamo noi, cominciamo a dire qualcosa di destra, dateci tempo, prima o poi le faremo anche…”.

Ovviamente non ci interessa qui fare un elenco delle uscite improvvide, delle gaffes istituzionali, degli incidenti di percorso, da parte di un personale politico il più delle volte inadeguato, assurto improvvisamente a cariche insperate, sia in campo politico che manageriale (basti pensare all’amministratore nominato che cita Mussolini, alle uscite surreali dei vari ministri, da Sangiuliano a Santanché, passando per il sempreverde Salvini…).

Più utile ci sembra provare a ragionare sulla direzione in cui sta andando chi da ormai un anno gestisce il potere e che vuole restare al comando per un tempo prolungato (“tutta la legislatura”, come da formula di rito), sebbene tutti sappiano che il terreno è sempre sdrucciolevole e che gli attori in campo non manchino mai di pensare ad opzioni B, prima ancora che si sia dispiegata a pieno l’opzione A. Continued…

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TORINO. VETRINA PER TURISTI E CITTÀ DELLE ARMI ALWAYS ON THE MOVE?

Riportiamo l’articolo di Maria Matteo, pubblicato sull’ultimo numero di “Collegamenti”, n. 5 newsletter novembre 2023

“Era la capitale dell’auto. L’industria automobilistica era indicata tra le eccellenze cittadine nei cartelli di ingresso alla città.
Oggi Torino è attraversata da due processi trasformativi paralleli: la città vetrina e la città delle armi. Il primo è ampiamente pubblicizzato, del secondo si parla poco e male. La lenta inesorabile fuga della Fiat, ormai solo più un marchio per le auto, ha decretato la decadenza e l’impoverimento della città. Sulle macerie di quella storia le amministrazioni comunali di questi ultimi anni, hanno provato a costruire, con alterna fortuna, “la città vetrina per i grandi eventi”, una scelta dalle conseguenze politiche e sociali devastanti, perché si è basata su interventi di riqualificazione escludenti, una sempre più netta dinamica di gentrification.

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In distribuzione il n. 5 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe”

In distribuzione  in forma di newsletter il n. 5 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe”, Novembre 2023.

(scaricabile in pdf da questo link)

In questo numero:

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