Riportiamo dal n. 7 (autunno 2024) di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” questo articolo di Renato Strumia
La ripresa post-Covid e la guerra in Ucraina (febbraio 2022) hanno causato una generale impennata dei prezzi e una ripresa dell’inflazione, che nei 7 anni precedenti erano state drasticamente contenute. La reazione delle banche centrali è stata quella del rialzo dei tassi, come se l’inflazione fosse dipesa da una esplosione salariale connessa ad un risveglio del conflitto industriale. Invece si trattava e si tratta di un incremento dei prezzi dovuto principalmente alle strozzature dell’offerta di materie prime e semilavorati, dell’embargo energetico autoinflitto all’Europa con le sanzioni alla Russia e, soprattutto, di inflazione da profitti (che secondo studi autorevoli, inclusi quelli di Bankitalia, ha inciso per il 70% sull’ammontare complessivo dei rincari).
L’ultima coda dei rialzi, se vogliamo metterla in questo modo, può essere attribuita al conflitto in Medio Oriente, che con il bombardamento degli Houti sulle navi in transito nel Canale di Suez, ha fatto decollare i prezzi di noli e coperture assicurative sui carichi, nonché l’allungamento dei tragitti e maggiori costi di chi sceglie di circumnavigare l’Africa, per evitare i rischi di droni e missili, scagliati per vendicare le stragi israeliane a Gaza.
In ogni caso la parabola dell’inflazione sta calando e sembra in procinto di tornare a livelli più normali, convergendo, seppure gradualmente, verso gli obiettivi delle autorità monetarie (per la Bce, il 2% l’anno). In vista dell’obbiettivo, considerati anche i segnali di rallentamento piuttosto consistenti provenienti dall’”economia reale”, Fed, Bce e Bank of England sembrano orientate ad abbassare i tassi d’interesse, sia in quel che resta del 2024, sia nel 2025. Solo la Bank of Japan sta alzando i tassi, ma parte da livelli quasi a zero e punta solo a rafforzare la propria valuta, anche in funzione anti-speculativa (si pensi all’uso di indebitarsi in yen, per investire in attività più redditizie, e poi rientrare dalle posizioni non appena la moneta torna a rafforzarsi). Giochino che ha portato alla precipitosa chiusura delle posizioni a inizio agosto, con un crollo azionario giornaliero del 10%, subito recuperato nelle sedute successive.
Continued…
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