Un articolo di Claudio Albertani.
Sono passati dieci anni, dieci anni di menzogne e depistaggi dalla tragica notte del 26 settembre 2014 quando a Iguala (Messico) “scomparvero” 43 studenti. “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” pubblica, nell’ultima newsletter, un ampio articolo sull’argomento di Claudio Albertani.
Sulla situazione in Messico “Collegamenti” ha ospitato anche la ricostruzione di Albertani e Fabiana Medina “In che momento si è fottuto il Messico” (quaderno luglio 2021), e, del solo Albertani, “Messico: viaggio al centro della Quarta trasformazione” (novembre 2023).
A dieci anni dalla notte di Iguala
26 settembre no se olvida1
Nel corso della sera/notte del 26 settembre 2014, 43 studenti della Escuela Normal2 Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, (Stato di Guerrero) vennero desaparecidos a Iguala una cittadina a 140 chilometri da Chilpancingo, la capitale statale. In seguito, sei persone risultarono assassinate – tra loro tre studenti normalisti, a uno dei quali venne scarnificata la faccia e cavati gli occhi mentre era ancora in vita – e oltre 40 subirono lesioni, in quel che è stato definito il 2 ottobre del XXI secolo3.
Un decennio di menzogne
Nonostante grandi mobilitazioni nazionali e internazionali per esigere verità e giustizia, le famiglie e la società messicana nel suo insieme continuano a ignorare che cosa sia successo a quei giovani, la maggioranza dei quali era allora tra i 18 e i 21 anni. Nonostante i 151 processati, 120 dei quali ancora detenuti – tra di essi alcuni militari e l’ex procuratore Jesús Murillo Karam –, nessuno è stato incolpato di essere direttamente implicato nel crimine; inoltre non ci sono sentenze e non si è stabilito il motivo del massacro. Di modo che l’unica verità sul caso è quella che risuona nelle piazze: «È stato lo Stato».
La marcia di quest’anno è stata particolarmente importante perché, pochi giorni dopo, terminava il mandato di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ed era il momento propizio per fare un bilancio della sua presidenza. Nonostante il freddo e la pioggia, migliaia di manifestanti – buona parte dei quali erano giovani normalisti provenienti da tutto il paese – hanno (abbiamo) accompagnato ancora una volta i genitori dei 43. Al grido di «Non siete soli!», il corteo è iniziato nell’Avenida Reforma, all’altezza dell’Ángel de la Independencia.
All’angolo con l’Avenida Juárez, proprio dietro l’antimonumento +43, è stato inaugurato un memoriale in ricordo dei ragazzi scomparsi. Non c’era polizia, ma passando di fianco all’edificio di Bellas Artes, si poteva notare che era stato sigillato con lastre metalliche e, dopo avere percorso l’Avenida 5 de Mayo, ci siamo dovuti fermare perché il governo (che si suppone di sinistra) aveva collocato dei blocchi di cemento che impedivano l’ingresso nello Zocalo, la piazza principale e sede del Palacio nacional.
Presto ci siamo resi conto che tutto il centro era chiuso, una cosa mai vista nella storia recente della città. Per fortuna, dei ragazzi intraprendenti sono riusciti ad aprire un varco e siamo riusciti a passare. Lo spettacolo era surreale: la piazza era insolitamente deserta e il pavimento bagnato dalla pioggia rifletteva la luce irradiata delle siluette illuminate degli eroi della patria collocate negli edifici contigui. Alcuni manifestanti, galvanizzati, hanno lanciato razzi contro il palazzo presidenziale e rotto qualche vetrina, ma niente più.
Da un palco improvvisato, Mario González, padre di César Manuel González, ha chiesto: «Di cosa ha paura il governo? Dov’è la sua democrazia? Nessun ostacolo ci fermerà e continueremo a esigere giustizia a Claudia Sheinbaum [la nuova presidente], ma non le daremo il tempo che abbiamo dato a questo presidente, che ci ha traditi». Parole dure, implacabili, che resteranno negli annali della storia del Messico. Mario González non esagerava. Nel corso di questi dieci anni, lui e i suoi compagni hanno avuto molta pazienza. Due governi federali – quello di destra di Enrique Peña Nieto (2012-2018), così come quello “umanista” di André Manuel López Obrador (1 dicembre 2018-30 settembre 2024) – hanno mentito e nascosto informazioni.
Certo, in un primo momento AMLO aveva ordinato di aprire gli archivi del Secretaría de la Defensa Nacional (SEDENA), della Secretaría de la Marina (SEMAR)4 e dei servizi di intelligence (CISEN). Le indagini ricevettero un buon impulso e riconobbero che le sparizioni forzate di Iguala erano state un crimine di Stato; venne creata la Comisión para la Verdad y Acceso a la Justicia (COVAJ) – coordinata da Alejandro Encinas, un vecchio militante della sinistra storica – e l’Unidad Especial de Investigación y Litigación para el Caso de Ayotzinapa (UEILCA) – diretta da Gómez Trejo, un rispettato ex collaboratore dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani in Messico, che godeva della fiducia dei familiari.
Ciononostante, quando nel 2022 le indagini hanno toccato l’Esercito e la Marina, gli alti comandi militari si sono rifiutati di consegnare le informazioni richieste e il Presidente ha dato un passo indietro. Gómez Trejo si è dovuto rifugiare negli Stati Uniti, dopo che, senza consultarlo, agenti del pubblico ministero federale hanno desistito dal portare a termine 21 ordini di cattura (tra questi, quelli di 14 militari e dell’ ex procuratore dello Stato di Guerrero, Iñaki Blanco), degli 83 che aveva richiesto. Immediatamente, AMLO lo ha accusato di… non avanzare nelle indagini! Lo stesso Encinas è stato oggetto di forti critiche e nel 2023 ha rinunciato, ufficialmente per partecipare alla campagna dell’allora candidata presidenziale Claudia Sheinbaum.
Che cosa è successo a Iguala la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014?
Non è facile orientarsi nel mare di informazioni che si trovano in Internet, poiché pezzi di verità si mescolano a menzogne grossolane. Digitando la parola «Ayotzinapa» in Google, si hanno 12.700.000 risultati. Di seguito, utilizzerò il VI rapporto (2023) del Gruppo Interdisciplinario de Expertos Indipendientes (GIEI) e i primi rapporti della COVAJ5.
La narrazione parte da alcuni giorni prima del 26 settembre, quando un’assemblea della FECSM – la Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México che raggruppa tutte le scuole normali del paese – decise di affidare agli studenti della Raúl Isidro Burgos il compito di “prendere” 20 autobus per recarsi a Città del Messico per partecipare alla marcia che, ogni 2 di ottobre, commemora il massacro di Tlatelolco del 1968. “Prendere” un autobus significa sequestrarlo temporaneamente. È una pratica abbastanza comune e, generalmente, è tollerata dalle autorità: gli studenti intercettano un mezzo e si mettono d’accordo con l’autista che li porta nel luogo desiderato, senza troppi problemi. La mattina del giorno 26, i normalisti avevano in loro potere soltanto due autobus, cosicché andarono al terminal degli autobus di Chilpancingo per prendere altri mezzi, ma non ci riuscirono.
Verso le 17, partirono di nuovo da Ayotzinapa un centinaio di ragazzi, in gran parte studenti dei primi semestri, a bordo degli autobus 1568 e 1531 appartenenti alla compagnia Estrella de Oro. Il primo raggiunse il casello numero 3 di Iguala alcuni minuti prima delle 20. Il secondo arrivò nel sito conosciuto come Rancho del Cura, dove gli studenti si misero a fare colletta tra gli automobilisti in transito6. Una decina di questi intercettarono l’autobus 2531 della Costa Line, proveniente da Acapulco e lo presero per raggiungere la Central de Autobuses di Iguala, dove arrivarono verso le 20,30. L’autista, però, li rinchiuse dentro il veicolo e avvisò le autorità. In risposta, i normalisti chiesero aiuto ai loro compagni, che arrivarono poco dopo le 21 a bordo degli autobus 1531 e 1568. Secondo testimoni citati dal GIEI, halcones7 in moto del gruppo narcotrafficante conosciuto come Guerreros Unidos (GU), avevano seguito i due autobus. D’altra parte, un automobilista intervistato dal giornale locale El Sur, aveva raccontato che quella sera militari, agenti federali e agenti ministeriali perquisivano tutti gli autobus e i veicoli privati che passavano dai caselli autostradali di Iguala8.
Dopo essersi riuniti con i loro compagni nella stazione degli autobus, i normalisti presero altri tre mezzi, due della Costa Line, i numeri 2012 e 2510, e uno della Estrella Roja, il cui numero non è stato identificato. Poi decisero di ritornare a Ayotzinapa con i 5 autobus: i due con cui erano arrivati dalla scuola e i tre appena presi. Tre mezzi imboccarono calle Galeana, che poi diventa Juan N. Álvarez e porta al Periférico Norte, le altre due si diressero, attraverso l’uscita posteriore, verso il Palacio de Justicia e la strada che porta a Chilpancingo.
I fatti tragici iniziati verso le 21,30, durarono circa 4 ore e si svolsero in distinti luoghi. I primi tre autobus (nell’ordine: 2012, 2510 e 1568) furono fermati in calle Juan N. Álvarez da una pattuglia che sbarrava il passaggio, mentre altre bloccavano le strade laterali. Quando gli studenti tentarono di forzare il passo, i poliziotti spararono, ferendo alla testa Aldo Gutiérrez Solano, che non fu soccorso in tempo e da allora è rimasto in stato vegetativo. Immediatamente, poliziotti di Iguala e di Cocula sequestrarono e poi fecero sparire i giovani del terzo autobus, il 1568.
Contemporaneamente, altri poliziotti inseguivano l’autobus 1531 riuscendo a fermarlo sotto un cavalcavia, dove si trovavano anche pattuglie della polizia federale. Tutti gli studenti che vi erano a bordo risultano scomparsi. Il quinto fu intercettato circa 150 metri prima, sempre da elementi della polizia federale che fecero scendere gli studenti intimando loro di allontanarsi, cosa che questi fecero disperdendosi rapidamente. Ormai senza passeggeri, questo autobus proseguì in direzione di Cuernavaca scomparendo senza lasciare traccia. Quando, nel 2015, il GIEI chiese di esaminarlo, la Procuradoria General de la República (PGR) mostrò l’Estrella Roja numero 3278, le cui caratteristiche però non coincidevano con le immagini video di una telecamera di sicurezza. Il che significa che anche il quinto autobus è desaparecido.
Altri sviluppi avvennero alle 23:20, quando un autobus della squadra di calcio Los Avispones, che transitava in località Santa Teresa, a una quindicina di minuti da Iguala, fu attaccato da Guerreros Unidos e da agenti di polizia di Iguala, Huitzuco e Tepecoacuilco, che li avevano scambiati per uno degli autobus dei normalisti. La sparatoria provocò tre morti – l’autista, un giocatore e la passeggera di un taxi di passaggio – e vari feriti. Altri due attacchi tra le 22:30 e le 00:30 contro gli studenti del quinto autobus che cercavano affannosamente di riunirsi con i loro compagni e che riuscirono a sopravvivere solo grazie al fatto che riuscirono a rifugiarsi in abitazioni private.
L’ultima aggressione avvenne di nuovo in calle Juan N. Álvarez, quando maestri della Coordinadora Estatal de Trabajadores de la Educación de Guerrero (CETEG), normalisti scampati ai precedenti assalti e altri che erano arrivati da Ayotzinapa stavano facendo una conferenza stampa per denunciare i fatti. Verso le 00:15, sicari dei Guerreros Unidos arrivarono a bordo di diversi veicoli e scaricarono le loro armi da fuoco sui presenti provocando diversi feriti e due morti: Daniel Solís Gallardo e Julio César Ramirez Nava, un altro studente, Julio César Mondragón, si mise a correre ma fu intercettato, brutalmente torturato e assassinato. Il cadavere venne trovato il giorno seguente, con il volto scuoiato, a circa 500 metri dal luogo dei fatti. Altri giovani e un maestro cercarono rifugio nella clinica Cristina, ubicata proprio in calle Juan N. Álvarez. Lì chiesero l’intervento di un medico per un compagno in pericolo di vita, ma non la ottennero. Furono, invece, insultati e aggrediti da personale della polizia municipale e da militari; un capitano, José Martínez Crespo, ordinò ai ragazzi di appoggiare i loro cellulari sul tavolo e fornire i veri nominativi «altrimenti non vi troveranno», una evidente minaccia di morte.
Nel frattempo, varie agenzie statali, tutte situate nei dintorni di questi scenari, seguivano gli spostamenti dei normalisti: il Centro de Investigación y Seguridad Social (CISEN), il Centro Regional de Fusión de Inteligencia (CRFI) dell’esercito, il Centro de Control, Comando. Comunicaciones y Cómputo (C-4) e il 27° Batallón de Infanteria, con una lunga storia di desapariciones durante gli anni della guerra sporca (1965-1990). Nonostante sia comprovato che il CRFI realizzava intercettazioni telefoniche ed era in contatto con elementi di Guerreros Unidos, la risposta di SEDENA, all’epoca dei fatti e anche attualmente, è che nel 2014 CRFI non esisteva.
È giusto ricordare che un ex militare difensore dei diritti umani, il generale Francisco Gallardo (1946-2021), ha fin dal principio affermato che dove ci sono due battaglioni dell’esercito (il 27° e il 41°), è praticamente impossibile possano scomparire 43 ragazzi senza che ne sappiano niente e senza il loro assenso: «i servizi di intelligence della SEDENA monitora qualsiasi movimento della dissidenza, in questo caso concreto gli studenti di Ayotzinapa. L’esercito sa, in tempo reale, dove andavano e se avevano preso o no un autobus»9. È inoltre provato che vi era almeno un infiltrato tra gli studenti, il soldato Julio César López Patolzin, che agiva in qualità di Órgano de Búsqueda de Información (OBI), ovvero informava puntualmente i propri superiori delle attività degli studenti. Apparentemente, quella notte, è scomparso assieme agli altri studenti, anche se si può supporre che riuscì a salvarsi e abbia poi cambiato di identità.
La teoria del GIEI
Il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes nacque nel 2014, a seguito di un accordo stabilito tra la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) e il governo, pressato dai familiari dei desaparecidos. Al termine di un’indagine lunga e accurata, che era iniziata nel marzo 2015 e aveva interessato diversi campi e ambienti, il GIEI aveva realizzato scoperte importati, pur non essendo riuscito a ritrovare i corpi dei ragazzi.
Il gruppo – formato dai colombiani Ángela Buitrago e Alejandro Valencia, la guatemalteca Claudia Paz y Paz, il cileno Francisco Cox e lo spagnolo Carlos Beristain – ha realizzato, tra il 2015 e il 2023, sei rapporti per un totale di circa 1.800 pagine, che hanno spazzato via la montatura messa in piedi all’epoca della presidenza Peña Nieto, dall’allora Procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam (attualmente agli arresti domiciliari) e dal capo dell’Agencia de Investigación Criminal, Tomás Zerón de Lucio. Il 7 novembre 2014, poche settimane dopo il crimine. Murillo Karam aveva tenuto una conferenza stampa per presentare una presunta “verità storica”, secondo la quale sicari di GU, aiutati da poliziotti di Iguala e di paesi vicini, avevano sequestrato, ucciso e bruciato gli studenti nella discarica di Cocula, per poi disperderne i resti nel fiume San Juan.
Ma uno studio genetico realizzato dall’Equipo Argentino de Antropología Forense (EAAF) – un gruppo di periti indipendenti che collaborava con il GIEI – certificò che i resti trovati nel San Juan non corrispondevano ad alcuno dei normalisti desaparecidos, ma ad altre persone non identificate. Poi vennero fuori dei video nei quali si vedeva Zerón che torturava personalmente i detenuti di GU affinché aggiustassero le loro confessioni alla “verità storica”. Oggi profugo in Israele, Zerón aveva vincoli con potenti aziende di questo paese, come NSO che produce il famigerato spyware Pegasus con il quale il governo messicano spiava – e, a quanto pare, continua a spiare10 – i membri del GIEI, Gomez Trejo e i familiari dei 43.
Il GIEI aveva scoperto che la Secretaría de Marina aveva manipolato la scena del San Juan, proprio alcuni giorni prima del 7 novembre. E inoltre, aveva messo in evidenza come i sicari avessero condotto i ragazzi in diversi posti, non in uno solo. Un primo gruppo venne portato in un luogo, rimasto sconosciuto, da agenti di Huitzuco, di un altro si perdono le tracce all’uscita di Chilpancingo e un altro ancora venne portato alla sede della polizia cittadina di Iguala davanti al giudice per le indagini preliminari Ulises Bernabé García, che lo avrebbe consegnato a GU. Alcune fonti, comunque, negano questa versione dei fatti e attualmente Bernabé è rifugiato negli Stati Uniti.
Poco a poco, vennero alla luce altri dati che mostravano la spaventosa realtà delle sparizioni forzate in Messico, che nello stato di Guerrero in particolare – con la sua lunga traduzione di lotte contadine, studentesche e di insegnanti – assumeva una forma estrema e cruda. Nel marzo 2020, un testimone protetto localizzò una fossa comune nella località conosciuta come Barranca de la Carniceria (Burrone della Macelleria), situata a circa 800 metri dalla discarica di Cocula. In quel luogo dal nome così sinistro, i periti hanno trovato, tra altri resti umani non identificati, tre piccoli frammenti ossei appartenenti a due dei normalisti scomparsi: Christian Rodríguez Telumbre e Jhosivany Guerrero de la Cruz. Fino al momento attuale è tutto quel che si è trovato dei 43 ragazzi.*
Come interpretare questa terribile violenza? Il GIEI sostiene la teoria prospettata anche da Trejo e, con diverse sfumature, dai giornalisti Anabel Hernández e John Gibler, secondo la quale il massacro ha a che vedere con l’intenso traffico di eroina tra Iguala e gli Stati Uniti gestito da GU11. È comprovato che ogni venerdì (e il 26 settembre era un venerdì), dalla stazione degli autobus di Iguala partiva, con destino Chicago, un autobus con un carico di droga nascosto al suo interno. Senza saperlo, i normalisti sarebbero montati su un autobus, il quinto, che trasportava un’ingente quantità di eroina, scatenando l’ira di GU e dei suoi complici.
Non nego che tale teoria possa sembrare convincente. Guerrero, all’epoca, era lo Stato messicano che produceva la maggior quantità di papavero da oppio ed è possibile, persino probabile, che il quinto autobus trasportasse, in effetti, un carico di eroina. Ma ciò basta a spiegare la furia omicida di quella notte? Mi pare giusto dubitarne, tra l’altro anche perché le informazioni disponibili mostrano che l’operazione era iniziata prima che gli studenti prendessero quell’autobus a Iguala, e non dopo. Ugualmente, l’attacco all’autobus de Los Avispones potrebbe indicare che i sicari non cercavano la droga, ma che l’obiettivo fossero i ragazzi stessi.
Un’operazione controinsurrezionale
L’estrema violenza contro i normalisti in generale, e contro quelli di Ayotzinapa in articolare, non è iniziata nel 2014. Il 30 novembre 2007, studenti della stessa scuola Raúl Isidro Burgos che realizzavano un blocco nell’Autopista del Sol – l’autostrada che collega Città del Messico ad Acapulco – all’altezza di Cilpancingo, furono sloggiati e repressi brutalmente da poliziotti federali e statali, con un bilancio di 56 arresti e due feriti, di cui uno grave. Il 12 dicembre 2011, i normalisti Jorge Alexis Herrera Pino y Gabriel Echeverría de Jesús vennero assassinati durante un altro sgombero nello stesso luogo. Si calcola che, come minimo, dieci alunni della stessa scuola siano stati assassinati prima e dopo la notte di Iguala; l’ultimo crimine è avvenuto lo scorso 7 marzo, quando un agente della polizia statale ha ucciso, nelle vicinanze di Ayotzinapa, Yanqui Kothan Gómez Peralta.
Anabel Hernández riferisce che nel novembre 2012, durante la transizione tra i mandati presidenziali di Felipe Calderón (2006-2012) e Peña Nieto (2012-2018), funzionari di entrambi gli staff si erano riuniti per parlare di temi riguardanti la sicurezza nazionale. In tale riunione non si menzionò il narcotraffico, ma gli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos risultavano al punto numero due, preceduti solo dai problemi della governabilità dello Stato di Michoacán12. Ovvero, sia Calderón sia Peña Nieto consideravano i normalisti come un pericolo per i loro governi. Ci sono altri dati: documenti delle forze armate messicane, piratati dagli hacktivisti di Guacamaya Leaks, rivelano che anni prima della scomparsa dei 43, l’Esercito messicano già teneva sotto controllo la scuola e considerava sovversivi i suoi studenti13.
Perché? Per tante ragioni. In primo luogo per l’odio feroce, psicotico, che gli apparati repressivi, le classi dominanti e i poteri mediatici ostentano contro gli studenti delle scuole normali rurali. Tali scuole, eredità della Rivoluzione messicana, nacquero con lo scopo di offrire alle comunità povere della campagna un’educazione dignitosa, che le aiutasse a migliorare le loro vite. Sebbene che episodi di violenza le accompagnino praticamente dalla loro fondazione, negli ultimi decenni essi si sono acuiti a causa delle ostinate aspirazioni rivoluzionarie dei giovani contadini normalisti, il loro modo di vivere e di resistere14.
D’altronde, in Messico le sparizioni forzate hanno una storia lunga e terribile. Iniziarono dopo il massacro di Tlatelolco del 1968 e nello Stato di Guerrero furono applicate in maniera particolarmente brutale nella lotta contro la guerriglia di Lucio Cabañas e Genaro Vázquez Roja15. Nel periodo di quella che è conosciuta sotto il nome di “guerra sporca”, l’esercito commise un infinità di crimini contro l’umanità torturando, facendo sparire e assassinando centinaia di persone nel tentativo di annientare le organizzazioni politico militari esistenti nella regione.
All’inizio del XXI secolo fanno la loro comparsa, poco a poco, nuove modalità di guerra sporca. Le uccisioni, le decapitazioni e le sparizioni forzate aumentano in maniera vertiginosa, ma mancano di motivi apparenti e le vittime non sono più guerriglieri, ma comuni cittadini. Il nemico, ora è la popolazione nel suo insieme e il propagarsi della violenza si trova in diretto rapporto con l’avidità del grande capitale, in particolare quello che opera nel settore estrattivo. Raúl Zibechi definisce «massacro come forma di dominio» la guerra di sterminio per appropriarsi dei beni pubblici. Le porzioni di umanità che ostacolano il furto di quei beni – vuoi perché ci vivono sopra, vuoi perché resistono al saccheggio o, semplicemente perché “sono di troppo” – meritano l’annientamento16. La violenza smisurata scatenatasi nella notte di Iguala fa parte dei modi di accumulare/rubare delle classi dominanti. Lo Stato non è più solo il comitato che veglia sugli interessi collettivi della borghesia, ma amministra l’attività di bande criminali che ugualmente sequestrano, estorcono e trafficano droghe, oppure agiscono come ausiliari degli apparati repressivi e investono in attività legali.
Nel nostro libro del 2015, Manuel Aguilar Mora ed io avevamo segnalato che Guerrero è ricco di minerali dall’alto valore economico. In particolare, la zona di Iguala si trova nella cosiddetta cintura dell’oro, una specie di El Dorado, incastonato in una regione tremendamente povera e ad altissimo rischio sociale che include Tlatlaya nello Stato di Messico, Iguala e la regione del fiume Mezcala. Nel 2014, GU agiva negli stessi luoghi in cui si trovavano le potenti compagnie minerarie canadesi Goldcorp e Torex Gold. In Nuevo Balsa, municipio di Cocula – i cui agenti municipali avevano partecipato al sequestro dei normalisti – la miniera d’oro Media Luna, filiale della Torex Gold, all’epoca era in forte conflitto con gli abitanti della zona, alcuni dei quali furono sequestrati e assassinati. Secondo El Sur, l’impresa pagava un milione di pesos al mese al crimine organizzato17.
Un altro studio indica che uno dei maggiori giacimenti d’oro è stato scoperto proprio nei dintorni di Ayotzinapa. Ripulire i paesi in qualsiasi maniera può essere redditizio, assicurano gli autori Francisco Cruz, Félix Santana Ángeles e Miguel Alvarado: «in Guerrero, ma anche nel resto del paese, dove vi sono le grandi compagnie minerarie c’è l’Esercito come preludio dell’arrivo o il rafforzamento del crimine organizzato»18. Questo, naturalmente, non è una prova che le compagnie minerarie siano state direttamente responsabili della scomparsa dei normalisti, ma sicuramente hanno creato un contesto di estrema violenza che dominava – e continua a dominare – il territorio.
La conclusione è che la notte di Iguala non è stata organizzata dai narcotrafficanti. Ma è stato un colpo preventivo, un’operazione controinsurrezionale ordinata dai più alti comandi dei governi statale e federale con l’aiuto di sicari del crimine organizzato19. Corpi di polizia locali, collusi con uomini di Guerreros Unidos, hanno portato a termine il rapimento e l’assassinio del 26 settembre sotto la supervisione della polizia federale e dell’Esercito. Il colonnello Rodríguez Pérez, comandante del 27° battaglione, sapeva tutto quello che stava succedendo quella notte. Una forza operativa comandata da un suo subordinato, il già citato capitano José Martínez Crespo è stata sempre presente nei vari luoghi dell’attacco osservando e sovraintendendo l’operazione. Secondo la stessa COVAJ, Rodríguez Pérez (arrestato nel 2022 e messo in libertà lo scorso luglio) aveva personalmente ordinato l’uccisione di sei dei 43 normalisti desaparecidos20. I normalisti costituivano un pericolo e bisognava dare loro una lezione esemplare. Erano doppiamente colpevoli: trasgredivano le norme sociali e, ancor più grave, si trovavano nelle immediate vicinanze di enormi ricchezze minerali. Come ha espresso con limpida chiarezza, il giorno della marcia, Fabian González, uno dei portavoce degli studenti: «il 26 settembre è stato un colpo contro le scuole normali rurali, non solo contro quella di Ayotzinapa, ma tutte le altre per imporne la chiusura definitiva. Non è stato il crimine organizzato. Il crimine organizzato ha partecipato, ma è stato lo Stato»21.
Come continua?
AMLO, mentore politico di Claudia Sheinbaum, ha consegnato ai militari un potere economico, politico e persino culturale che mai avevano avuto e al quale difficilmente rinunceranno22. Rispetto al caso di Ayotzinapa, il governo non solo ha fermato le indagini proprio quando stavano per individuare i veri responsabili, ma ha anche mentito vergognosamente in almeno due occasioni. In primo luogo quando ha affermato che il menzionato soldato López Patolzin non era un elemento attivo come OBI, mentre così si accredita nello stesso rapporto presidenziale23. In secondo luogo negando che Omar García Harfuch – ex Secretario de Seguridad Ciudadana de la Ciudad de México quando Claudia Sheinbaum era a capo del governo cittadino, e oggi Secretario Federal de Seguridad y Protección Ciudadana – fosse coinvolto nel crimine di Iguala, nonostante sia certo che fosse commissario della polizia federale in Guerrero e che abbia partecipato alla fabbricazione della “verità storica”.
Non è tutto. Il giorno precedente alla commemorazione della notte di Iguala, AMLO ha firmato un riforma costituzionale che mette la Guardia Nacional sotto il comando dell’Esercito, una istituzione opaca, generalmente restia a rendere conto del proprio comportamento, che così avrà ancora più potere. L’articolo 129 stabilisce che «in tempo di pace, nessuna autorità militare può svolgere più funzioni di quelle che è previsto svolga in questa Costituzione e nelle leggi da essa emanate». Che significa? Che il governo potrà militarizzare praticamente tutto quello che vuole grazie alla schiacciante maggioranza sulla quale può contare alla Camera e al Senato24.
L’ex-presidente è arrivato al punto di accusare, senza prove, il Centro Miguel Agustín Pro e il Centro de Derechos Humanos de la Montaña Tlachinollan – due accreditate organizzazioni di difesa dei diritti umani – di manipolare i familiari dei 43 per screditare il governo. In un’occasione ha proposto di riceverle, ma senza i loro avvocati e in un’altra ha ipotizzato l’esistenza di una cospirazione orchestrata dagli Stati Uniti per diffamare l’esercito messicano.
A dieci anni dalla notte di Iguala, i particolari del crimine rimangono nascosti negli archivi dell’Esercito, della Marina e dei servizi segreti. Da parte loro, i familiari dei desaparecidos continuano e chiedere la consegna degli 868 messaggi riservati che non sono stati forniti. Con Claudia Sheinbaum, la prima presidentessa messicana, ci saranno progressi? Il pronostico è incerto. Intanto, Ayotzinapa vive y la lucha sigue25.
Tlalpan, Ciudad de México, 7 de octubre de 2024
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NOTE
1 «2 de octubre no se olvida» (2 ottobre non si dimentica) è lo storico slogan in ricordo del massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968 [NdT].
2 Corrisponde a ciò che erano le magistrali in Italia [NdT].
3 Cuauhtémoc Ruiz, La imbatible Ayotzinapa y el Estado contrainsurgente, Ediciones El Socialista, México, 2024.
4 Si intende della Marina militare, che in Messico svolge anche funzioni di mantenimento dell’ordine pubblico e di “controllo” del narcotraffico [NdT].
5 GIEI, VI Informe. Hallazgos, avances, obstáculos y pendientes, México, 2023, https://www.oas.org/es/cidh/jsForm/?File=/es/cidh/giei/ayotzinapa/informes.asp; Informes I y II de la Presidencia de la Comisión para la Verdad y Acceso a la Justicia del Caso Ayotzinapa, México, 2022: https://comisionayotzinapa.segob.gob.mx/es/Comision_para_la_Verdad#Informe
6 Pratica molto comune in Messico per raccogliere fondi destinati a vari scopi: dalle feste di fine corso scolastico a celebrazioni comunitarie del santo patrono. In pratica, in un luogo in cui per qualche ragione il traffico è costretto a rallentare, viene tesa un corda da una parte all’altra della carreggiata per fare soffermare i veicoli e si passa con un bussolotto a raccogliere le offerte.
7 Los halcones (I falchi) era un gruppo paramilitare creato in Messico per reprimere il movimento studentesco, che si diede a conoscere il 10 giugno 1971 quando attaccò una manifestazione di massa (la prima dopo il massacro di Tlatelolco), provocando – secondo fonti ufficiali – 38 morti e 62 desaparecidos [NdT].
8 “El Ejército estuvo en Iguala y no evitó el ataque y la desaparición de los normalistas, dice un testimonio”, El Sur, 15 de octubre de 2014, https://www.calameo.com/read/00305825458769a30fe4c
9 Pedro Zamora Briseño, “Texto de Proceso apunta a “crimen de Estado” en caso Iguala: general Gallardo”, Apro, 16.12.2014, https://www.proceso.com.mx/nacional/2014/12/16/texto-de-proceso-apunta-crimen-de-estado-en-caso-iguala-general-gallardo-141115.html
10 Nayeli Roldan, Animal Político, 7.3.2023, https://www.animalpolitico.com/seguridad/ejercito-espio-defensor-derechos-humanos-secretario
11 Cfr.: Anabel Hernández, La verdadera noche de Iguala. La historia que el gobierno trató de ocultar, Grijalbo, 2016 y John Gibler, I Couldn’t Even Imagine That They Would kill us, City Lights Books, San Francisco, 2017.
12 A. Hernández, La verdadera noche de Iguala, op. cit., pág. 51.
13 Cfr: https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/mexico-ayotzinapa/2023-03-10/guacamaya-leaks-and-ayotzinapa-case
14 Manuel Aguilar Mora, Claudio Albertani (coordinadores), La noche de Iguala y el despertar de México. Textos, imágenes y poemas contra la barbarie, Juan Pablos Editor, México, 2015, pág. 18. Cfr: https://dokumen.pub/la-noche-de-iguala-y-el-despertar-de-mexico-9786077113003.html
15 Entrambi maestri rurali, usciti proprio dalla scuola Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa.
16 Raúl Zibechi, “La masacre como forma de dominación”, La Jornada, 31 de octubre de 2014.
17 Alejandro Guerrero, “Minera canadiense pagaba un millón de pesos al mes al crimen organizado en Cocula”, El Sur/Sin embargo, 12 de febrero de 2015, http://www.sinembargo.mx/12-02-2015/1248830
18 Francisco Cruz, Félix Santana Ángeles y Miguel Alvarado, La guerra que nos ocultan, Editorial Planeta, México, 2016, pp. 10 y 116.
19 C. Ruiz, op. cit., pág. 182.
20 A. Hernández, op. cit., pp. 289-301.
21 Testimonianza di Fabian González in: Andrea Cegna, Ayotzinapa, silencio cómplice, minuto 32:14, https://www.youtube.com/watch?v=Xfr8T5gQqQw
22 Cfr.: Claudio Albertani y Fabiana Medina, ¿En qué momento se jodió México?, Etcétera, Barcelona, 2021.
23 Alonso Urrutia e Emir Olivares, La Jornada, 26.07.2024; Aristegui noticias, 25.09.2024, https://aristeguinoticias.com/2509/mexico/informe-de-sedena-revela-mentira-de-amlo-sobre-soldado-infiltrado-en-normal-de-ayotzinapa/ e Informe COVAJ, op. cit., pág. 31.
24 Javier Martín Reyes, El Universal, 26/09/2024.
25 Slogan mutuato dal famoso «Zapata vive y la lucha sigue», «Zapata è vivo e la lotta continua» [NdT].
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