Da “Collegamenti” n. 5, novembre 2023 una recensione di Cosimo Scarinzi al libro “L’utopia concreta. Azione Libertaria e Proletari Autonomi Milano 1969-1973”, vol. I, a cura di Franco Schirone, ed. Zero in condotta, 2023.
Il libro tratta di un‘esperienza che, nonostante i suoi caratteri originali ed interessanti nello sviluppo del conflitto fra le classi nei decenni passati, non era stato oggetto di un‘adeguata ricerca storica.
Si tratta di un‘ampia raccolta di documenti originali e di testimonianze sull‘azione degli organismi autonomi di fabbrica, in particolare nell‘area milanese, fra l‘autunno caldo e i primi anni ’70 e, parallelamente, della riflessione teorica che caratterizzò un gruppo di militanti che furono soggetti attivi in questi avvenimenti.
Cosa caratterizza in particolare gli organismi autonomi dell‘area milanese in quegli anni è la capacità di aggregare una rete di avanguardie di fabbrica al di là dell‘appartenenza o meno ai gruppi della cosiddetta nuova sinistra e quindi di dare sbocco organizzativo a un‘esigenza unitaria che caratterizzava queste avanguardie e, nello stesso tempo, a un‘idea forte e precisa della stessa categoria di autonomia, non ricondotta o – peggio– ridotta a mero comportamento antagonista ma intesa come capacità di autoorganizzazione proletaria in senso molto più vasto.
Nello stesso tempo si affronta l‘esperienza specifica di un‘area politico culturale che affonda le sue radici in un complesso riferimento all‘anarchismo, al comunismo dei consigli, al sindacalismo rivoluzionario e all‘unionismo industriale e si confronta nello stesso tempo con la cosiddetta scuola della composizione di classe, quella che in maniera per molti versi riduttiva, viene anche definita come operaismo, non solo su base nazionale ma anche attraverso la conoscenza dell‘elaborazione di gruppi come “Socialisme ou Barbarie” e altri che sono all‘origine della stessa scuola della composizione di classe.
È bene porre l‘accento sul fatto che, a differenza di correnti politico–culturali con le quali poteva avere alcune somiglianze, si caratterizzava per un classismo radicale, per il giudizio critico nei confronti di organizzazioni che prevedevano l‘esistenza di gruppi dirigenti borghesi e piccolo borghesi e per la conseguente idea forte che il socialismo o è l‘autogoverno dei produttori associati o non è, o per argomentare meglio, è il potere di un apparato burocratico e statale gestito dai nostri avversari e cioè, per citare Marx, la vecchia merda.
Per sua stessa natura, un‘esperienza del genere non poteva che pienamente svilupparsi nel fuoco del conflitto di classe, in primo luogo sul terreno diretto della relazione capitale–lavoro nelle fabbriche dell‘area milanese e, quasi naturalmente, sul terreno metropolitano, nelle grandi occupazioni di case e nelle lotte per il reddito sul territorio anche se la rivendicazione dell‘autonomia di classe in senso pieno che la caratterizzava coinvole molte compagne e molti compagni sia a livello nazionale che internazionale.
Intorno a quest‘esperienza si sviluppò quello che possiamo definire un intellettuale operaio proletario collettivo, che univa ad un‘intensa attività militante sul campo un‘attenzione alle esperienze radicali sviluppatesi nella storia del movimento operaio e in particolare al movimento dei consigli del primo dopoguerra in Germania e agli IWW statunitensi e il convincimento che la partita si giocava nel cuore stesso del capitalismo mondiale.
Da ciò, coerentemente, l‘interesse e l‘immediata solidarietà alle mobilitazioni operaie nei paesi a capitalismo di stato, una per tutte quella degli operai polacchi.
Ovviamente all‘interno di quest‘area non mancarono, e il libro ne rende conto, discussioni e rotture intorno alle prospettive da darsi, in particolare fra il filone classista duro e puro e i compagni e le compagne, che, nella fase di arretramento delle lotte, sostennero l‘esigenza di una svolta verso una dimensione più teorica generale. Di queste discussioni il libro rende conto anche la pubblicazione di documenti e testimonianze che rendono conto della loro vivacità.
Come ampiamente noto la scommessa da cui nasce questa esperienza farà i conti con la capacità del sindacalismo istituzionale di assumere parzialmente e sostanzialmente disciplinare la radicalità del conflitto attraverso il sindacato dei consigli.
D‘altro canto, come altre volte è avvenuto, una cosa era la radicalità dello scontro sociale nei momenti più alti e altro il livello medio di questo scontro anche a fronte di una serie di effettive conquiste immediate dal punto di vista salariale e normativo e su questo terreno l‘apparato sindacale ei partiti della sinistra, in particolare il PCI, recuperarono gradualmente una sostanziale egemonia.
Nello stesso tempo le derive di gruppi della sinistra radicale, in particolare il lottarmatismo, spostarono il livello dello scontro sul terreno politico–istituzionale e ciò comportò, anche grazie all‘azione del PCI in senso repressivo, l‘effetto di isolare ed esporre ad una massiccia repressione le avanguardie di fabbrica.
Riflettendo su queste vicende a distanza di decenni credo si possa affermare che un punto di crisi di quest‘esperienza fu proprio la sua radicalità, una radicalità che rendeva impraticabile una qualche forma di “ritirata ordinata” di fronte all‘uso massiccio della cassa integrazione e al decentramento produttivo che già nella seconda metà degli anni ’70 indebolivano il movimento di classe.
È anche vero che in quegli anni la rete dei compagni che animavano quest‘esperienza svolse un ruolo importante nelle lotte di nuovi settori di movimento quali gli ospedalieri, i precari della scuola, in generale il precariato sociale, mantenendo un significativo insediamento nelle occupazioni di case e nelle lotte di quartiere.
Si trattò insomma un‘esperienza ricca e complessa sia per la varietà delle provenenze e delle culture dei compagni che l‘animarono che per l‘intreccio fra lotta di classe e critica della vita quotidiana impostaci dal capitalismo e dallo stato e non è casuale il fatto che un discreto numero di coloro che l‘animarono ha mantenuto, in forme diverse, un‘attività militante teorica e pratica e legami personali importanti.
Ovviamente, negli anni, seguenti è stato inevitabile un ripensamento critico su quell‘esperienza, l‘approfondimento di alcuni temi, il confronto con altre proposte teoriche e di questo percorso, per molti versi, è testimonianza proprio la storia pluridecennale della rivista “Collegamenti per l‘organizzazione diretta di classe” nata come bollettino di collegamento fra gli operai organizzati autonomamente ma trasformatasi nel tempo in una rivista che ha intrecciato l‘inchiesta sul campo e la documentazione delle lotte con la riflessione delle trasformazioni produttive, sociali, politiche che abbiamo vissuto a livello nazionale e a quello planetario e che ha coinvolto in un ruolo importante molti compagni e compagne che non facevano parte del “nucleo originario”.
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