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ANARCOSINDALISMO IN GERMANIA (1892-1933)

Tra le recensioni pubblicate dall’ultimo numero di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” (n. 9/Primavera 2025) riportiamo questa scheda di Mauro De Agostini

È da poco uscito l’agile saggio di Hartmut Rübner “L’anarcosindacalismo in Germania. Affermazione, ascesa e declino (1892 – 1933), Malamente, p. 123, euro 15, che ripercorre vicende politiche e sindacali quasi sconosciute in Italia.

Durante il periodo delle leggi antisocialiste (1878-1890) il movimento sindacale tedesco si era dato una organizzazione decentrata per sfuggire alle persecuzioni. Dopo la fine della legislazione speciale una parte di organizzatori (i cosidetti “localisti”) si opposero al processo di centralizzazione sindacale sponsorizzato dal partito socialdemocratico (SPD). Questi contrasti obbligarono i “localisti” a riunirsi in una propria associazione nel 1897: la “Libera Unione dei sindacati tedeschi” (FvdG). Da rilevare che, in questa prima fase, la FvdG aveva un programma che ben poco si distingueva da quello socialdemocratico.

Una importante svolta si ebbe nel 1904 quando il sindacato, sotto l’influsso di Raphael Friedeberg, iniziò a propagandare lo sciopero generale come mezzo di di lotta rivoluzionaria e nel 1908 quando la SPD stabilì l’incompatibilità dell’adesione al partito per gli iscritti alla FvdG. La svolta portò il sindacato a perdere adesioni riducendosi a 6.000 iscritti nel 1914 contro i 18.000 di inizio secolo (i poderosi sindacati socialdemocratici vantavano nello stesso periodo ben 3 milioni di aderenti).

Il periodo bellico vide i sindacati socialdemocratici e la SPD adottare una politica bellicistica mentre la FvdG manteneva ferma la barra antimilitarista, sostenendo una pesante repressione.

Questa coerente opposizione alla guerra rafforzò notevolmente il sindacato dopo il crollo della Germania e infatti durante la “rivoluzione di novembre” le adesioni aumentarono notevolmente fino a superare le 111.000 nel 1919. Al congresso di Berlino del dicembre 1919 la FvdG si trasformò in “Libera Unione dei Lavoratori della Germania (Sindacalisti)”, FAUD (S) adottando principi più chiaramente ispirati al sindacalismo rivoluzionario e anarchico.(1) Fino al 1920/21 l’anarcosindacalismo “godette di un’immensa popolarità, con un impatto indiretto che andava oltre le affiliazioni organizzative formali” (p. 25).

Con la fine delle speranze rivoluzionarie e la grande crisi economica dovuta all’iperinflazione del 1923 incominciò il declino della FAUD che si accentuò progressivamente negli anni successivi raggiungendo l’apice con la crisi del 1929. Molti iscritti perdevano il lavoro, la repressione padronale e statale si accaniva particolarmente contro i lavoratori rivoluzionari, molto pesarono anche i dissidi interni e l’ostilità del partito comunista. La legislazione sindacale che imponeva il ricorso obbligatorio all’arbitrato legava le mani alle organizzazioni conflittuali e, grazie a norme capziose, la FAUD venne esclusa dopo il 1929 dal diritto alla contrattazione collettiva anche in quelle aree dove in passato aveva sottoscritto accordi con le associazioni padronali. Nella fase finale della repubblica di Weimar “la stampa della FAUD venne vietata a livello nazionale” (p. 42). Nel marzo 1932 la FAUD era ormai ridotta a 4.345 iscritti.

Nonostante il declino organizzativo la FAUD riuscì a mantenere fino all’avvento del nazismo un notevole ruolo culturale attraverso due case editrici con una vasta produzione di riviste e libri, cooperative di produzione e abitazione, associazioni di consumatori, organizzazione di “scuole libere”… ancora nel 1934 “almeno 600 attivisti della FAUD clandestina erano coinvolti in attività di resistenza” (p. 46).

Il libro è completato da un’ampia appendice documentaria con scritti di Rocker, Souchy e Gerhard Wartenberg.

NOTE

(1) Nel 1922 il termine “Sindacalisti” tra parentesi venne sostituito da “Anarcosindacalisti”.

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