Dal n. 9 (primavera 2025) di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” un intervento di Mauro De Agostini
Stavamo già impaginando questo numero di “Collegamenti”[vedi versione precedente dell’articolo] quando è arrivata la notizia del colpo di mano del governo. Per superare l’impasse nell’iter legislativo del DDL cosiddetto “Sicurezza” (dovuto peraltro principalmente a svarioni nell’indicazione delle coperture finanziarie) buona parte del disegno di legge è stato tradotto in un Decreto legge, adottato in mezz’ora dal consiglio dei ministri la sera del 4 aprile, ed entra quindi immediatamente in vigore il giorno dopo la sua pubblicazione sulla “Gazzetta ufficiale”.
È vero che – in teoria – il decreto sarebbe incostituzionale, dato che non è possibile ravvisare il “caso straordinario di necessità e urgenza” (art. 77 Cost.) che possa giustificare l’adozione per decreto di un provvedimento da mesi all’esame del Parlamento, ma sappiamo bene che le Costituzioni sono il luogo delle belle declamazioni retoriche utili solo a nascondere gli interessi della classe dominante. D’altra parte questo non è che l’ultimo di una serie di Decreti legge (emanati da questo e da altri governi) firmati senza fiatare da un Presidente della Repubblica.
Come già scrivevamo sul n. 7 di “Collegamenti” queste norme costituiscono uno dei peggiori giri di vite securitari dagli “anni di piombo” ad oggi. L’obiettivo è quello di spazzare via buona parte delle conquiste ottenute a partire dalla Resistenza riguardo al diritto di manifestare. Mentre a livello di Unione Europea fervono i piani di riarmo, all’interno il territorio viene militarizzato con l’istituzione delle “zone rosse” e l’imposizione di norme sempre più repressive.
Iter legislativo e opposizione sociale
Ma ripercorriamo l’iter legislativo di questo gravissimo provvedimento. Presentato in Parlamento il 22 gennaio 2024, era stato approvato a tempo di record dalla Camera tra il 10 e il 18 settembre 2024 con una flebile opposizione parlamentare. Nel frattempo la stampa “democratica” faceva a gara nel distrarre l’opinione pubblica propinando gustose fesserie sulle vicende del ministro Sangiuliano o sul ruolo di Fitto in Europa. Anche la classe lavoratrice, i sindacati e i movimenti di base non avevano saputo cogliere in tempo il pericolo che si profilava.
Il merito di aver lanciato tra i primi l’allarme è stato della “Rete Liberi/e di lottare”(agosto 2024). Ne era seguita una certa mobilitazione di piazza (sicuramente insufficiente) e anche i partiti di opposizione, CGIL e UIL si erano risvegliati dal coma con una manifestazione il 24 settembre.
Alla fine di marzo 2025 il DDL 1236 (era 1660 alla Camera) aveva concluso l’esame in commissione in Senato e si apprestava ad essere votato dall’aula (la discussione era stata calendarizzata per il 15 e 16 aprile). A causa di uno svarione tecnico (in sei articoli erano state indicate le coperture finanziarie per il solo 2024 e non anche per il 2025) il testo avrebbe dovuto comunque tornare in terza lettura alla Camera. Si registravano intanto dissensi tra la Lega che avrebbe voluto approvare il provvedimento così com’era e Fratelli d’Italia che avrebbe voluto smussare alcuni dei punti più evidentemente incostituzionali del testo per venire incontro alle sommesse richieste di modifica provenienti dal Quirinale.
In questi mesi, mentre la “Rete Liberi/e di lottare”, espressione di aree antagoniste e del sindacalismo di base, ha continuato in un’opera costante di agitazione, la “rete nazionale NO DDL Sicurezza” che riunisce CGIL, AVS, Amnesty international e altri soggetti, dopo una riuscita mobilitazione nazionale il 24 febbraio, sembrava essere caduta in una sorta di trepidante attesa. È preoccupante il fatto che, nonostante la possanza (teorica) della CGIL, i cortei di protesta si siano svolti solo in un numero molto limitato di città mentre in vari capoluoghi di provincia il sindacato confederale non ha dato alcun segno di vita sull’argomento. D’altra parte, in una interrogazione alla Camera, il ministro Piantedosi aveva candidamente ammesso che le norme anti blocco stradale erano rivolte contro “le organizzazioni sindacali di base, in particolare il Si Cobas” (“Il Manifesto, 26.9.2024).
Il 3 aprile giungeva la notizia della decisione del governo di forzare il gioco adottando le norme attraverso un Decreto legge. Soluzione questa che metteva d’accordo Lega (che otteneva l’adozione immediata del provvedimento) e Fratelli d’Italia (che potevano limare il testo, come richiesto dal Presidente della Repubblica).
Il Decreto legge
Nel rinviare al n. 7 di “Collegamenti” per una analisi dettagliata di quanto prevedeva il DDL vediamo ora quali sono gli elementi di novità del Decreto legge. Per venire incontro alle richieste del Quirinale sono state apportate leggere modifiche a 6 articoli.
Tra i più contestati è stato eliminato il divieto ai migranti senza permesso di soggiorno di acquistare sim telefoniche, così come è stata espunta la norma che obbligava università e amministrazioni pubbliche a collaborare coi servizi segreti (la collaborazione rimane “facoltativa”).
Minima invece la variazione riguardante le donne incinte o con figli minori di un anno. Non viene mantenuto l’obbligo di rinvio della pena (come attualmente) ma solo prevista la possibilità di custodia cautelare in istituti a custodia attenuata.
Minime anche le variazioni delle cosiddette norme “anti Gandhi” che puniscono anche la semplice resistenza passiva, vengono più precisamente circoscritte anche le aggravanti per le manifestazioni “No Ponte” e “No TAV”.
Piccole limature al testo che non ne modificano in nulla l’impianto gravemente repressivo. Rimangono gli oltre 20 reati (o nuove fattispecie di reato) introdotti e le corpose misure a favore delle forze dell’ordine. Il Decreto legge di fatto ripercorre tutti i punti già previsti dal DDL:
Viene previsto come reato la semplice detenzione di documenti “terroristici”, aggravate le pene per l’occupazione di immobili (con l’introduzione di un nuovo reato oltre a quelli già esistenti), prevista la revoca della cittadinanza acquisita nel caso di gravi reati, introdotto il reato di blocco stradale e ferroviario (fino a 2 anni), ampliate le possibilità di DASPO urbano e arresto in differita, introdotti i reati di rivolta carceraria e nei CPR (fortemente voluta dalle forze dell’ordine), aggravate le pene in caso di resistenza a pubblico ufficiale.
Agli agenti segreti viene garantita l’impunità per reati commessi sotto copertura (inclusa la direzione di organizzazioni terroristiche ed eversive) e ai militari in missione per i reati commessi in servizio all’estero.
Lunghissimo l’elenco di misure a favore delle forze dell’ordine: dal diritto di portare armi fuori servizio, al contributo per le spese legali, alla possibilità di indossare videocamere…
Le “Zone rosse”
Nelle more dell’approvazione del DDL il ministro Piantedosi si era portato avanti nell’opera di militarizzazione del territorio. Con una circolare del 17 dicembre 2024 aveva riesumato l’art. 2 del TULPS fascista del 1931 secondo cui “il Prefetto, nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”, di conseguenza i prefetti venivano invitati a istituire nei centri cittadini “zone rosse” a controllo rafforzato per “mettere stabilmente in sicurezza i perimetri urbani più problematici”.
In pratica venivano così anticipate per via puramente amministrativa alcune norme del DDL (ora passate nel Decreto legge) che consentono alla polizia di disporre l’allontanamento da queste zone di persone considerate problematiche “Disposizioni, queste, – citiamo testualmente dalla circolare – interessate da modifiche di segno ampliativo, contenute anche nel disegno di legge in materia di sicurezza pubblica all’esame del Parlamento, che reca un’ulteriore estensione del divieto di accesso a coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti, per delitti contro la persona o contro il patrimonio commessi nelle aree interne e nelle pertinenze di infrastrutture ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano”
I Prefetti hanno fatto a gara nell’eseguire le superiori disposizioni istituendo “zone rosse” non solo nelle grandi città ma persino in soporifere cittadine di provincia, nelle città amministrate dal “centro-sinistra” spesso i sindaci hanno apertamente sponsorizzato il giro di vite.
Erdogan e Orban all’orizzonte…
La deriva repressiva è ormai gravissima. A partire dalla legislazione “speciale” degli “anni di piombo” abbiamo assistito a una progressiva e costante torsione repressiva del diritto a danno di chi partecipa alle lotte sociali. Basti ricordare, a partire da Genova 2001, l’applicazione del reato di “devastazione e saccheggio” a casi di danneggiamenti anche minimali con decine di anni di reclusione comminati agli accusati, oppure il reato di “associazione a delinquere” imputato a sindacalisti di base e militanti NO TAV o per il diritto alla casa. Ma ora stiamo assistendo ad una accelerazione di questo processo che mira esplicitamente ad eliminare ogni forma di opposizione sociale.
Si configura con chiarezza quello che viene definito come “diritto penale del nemico”, con l’uso di imputazioni abnormi e sproporzionate rispetto all’entità dei fatti nei confronti dell’opposizione di classe, mentre i reati “dell’amico” vengono sistematicamente depenalizzati o ridimensionati (abolizione dell’abuso d’ufficio, sanatorie fiscali ecc.).
Contro questa deriva repressiva occorre continuare a sviluppare la più ampia e decisa mobilitazione.
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