E’ stato il tormentone dell’estate. Dopo il clamore mediatico questo articolo di Annibale Romeo da “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” n. 7 (autunno 2024) ci permette di fre il punto sul livello culturale di taluni esponenti politici
La pretesa egemonia culturale della sinistra in Italia è una costante ossessione della destra più o meno radicale che da oltre 30 anni appare inconsapevole della scomparsa dal panorama politico del partito “comunista” più grande dell’Europa occidentale. La cosa che più tormenta gli elementi rampanti fra la schiera dei chierici della “destra di governo”, è un senso di inadeguatezza alla quale qualcuno ha cercato di rabberciare un rimedio facendo appello alle risorse del più intemerato volontarismo. Il mito quasi impossibile da raggiungere, almeno per i meno sprovveduti in termini di conoscenze storiche, è quello del Pci togliattiano che fu capace di attrarre “irresistibilmente” tutti i “migliori cervelli” della Nazione. In un certo senso si può dire che in questo modo i destri aspiranti egemoni culturali siano alla ricerca della parodia di una parodia di “egemonia culturale”, intrecciata di sciovinismo patrio già nella sua forma originale.
Non si può dire che nella destra siano del tutto assenti persone colte e dotate anche di una certa intelligenza politica. Evocando quest’ultima vaga categoria, la mente non può non andare a posarsi sulla premier Meloni, la quale tutto appare fuorché un’intellettuale. Eppure ella riesce ad arrivare laddove fior di intellettuali non saprebbero neanche da dove cominciare.
Ma non si può non tenere conto che la premier parte da un’indubbia posizione di vantaggio, dato che a ella spetta il compito di ammaestrare un’opinione pubblica resa già semianalfabeta da decenni di pastura mediatica ideologicamente ultrareazionaria e dal contenuto culturale a dir poco infimo. Ella conosce la gente che la vota o la può votare e non si fa confondere da pleonastiche teorie. Cerca di essere soltanto “una di loro” e ci riesce bene. Questo è il grande successo dell’egemonia della destra in Italia, oltre il quale da un punto di vista “culturale” proprio non può proprio andare. Più difficile appare invece il compito di chi vuole rivolgersi agli strati più istruiti della società tentando di inculcare loro la versione più aggiornata del neofascismo con tutto il suo universo simbolico intessuto di pregiudizi, luoghi comuni e mitologie regressive.
Non è detto che un progetto politico abbia bisogno di essere diretto da uomini particolarmente dotati e preparati per andare in porto. Se le condizioni sono propizie a un determinato processo storico, la storia trova i suoi uomini e le loro eventuali insufficienze possono anche non nuocere troppo al suo sviluppo. Quando invece le condizioni non sono granché propizie alla realizzazione di un piano assai ambizioso e per molti aspetti velleitario, ecco che i limiti dei personaggi che li impersonano trasformano progetti faraonici in ridicole farse.
Il fu ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (egli vive e veste panni, ma preferiamo il tombale “fu” al più comune “ex” poiché la sua ministerialità ci appare cosa morta e assai difficile da resuscitare), è un caso singolare di una carriera politica naufragata miseramente proprio quando partiva con ottime premesse. Ma si da che la trasformazione di un giornalista in politicante è un’operazione assai complessa che implica una profonda mutazione identitaria del soggetto che si accinge a compiere un tanto periglioso passo. Questo vale soprattutto quando il giornalista asservito alla classe dominante si abitua a essere pagato più o meno profumatamente per veicolare le più triviali menzogne e mistificazioni che giovano al potere. In questo, ancora una volta, l’essere di destra non sempre è garanzia di un felice approdo ad altri lidi, dato che una cosa è riempire le pagine di cronaca nera con reati e delitti, veri o inventati, attribuiti agli immigrati, altre cosa è continuare sullo stesso leitmotiv demagogico per chi, appena “sceso in politica”, si ritrova all’improvviso a ricoprire responsabilità di governo.
A questo punto occorre raccontare alcuni passaggi della storia di Gennaro Sangiuliano, senza soffermarsi troppo sul suo passato di giovane militante dell’Msi (una foto lo raffigura poco più che adolescente accanto a Giorgio Almirante) e sulla prima parte della sua carriera giornalistica nella natia Napoli dove ancora giovane si trovò alla direzione del quotidiano Roma. La fase della sua vita che più ci interessa per meglio inquadrare il personaggio è quella che si inaugura nel 2012, quando dopo essere approdato alla Rai da una decina d’anni e avere pubblicato già molti libri, si cimenta per la prima volta in un suo scritto col tema del comunismo nel suo Scacco allo zar: 1908-1910: Lenin a Capri, genesi della rivoluzione, che venne pubblicato, guarda caso, da Mondadori.
Non è facile stabilire a quale categoria possa appartenere un libro come quello sangiulianesco sui soggiorni capresi del capo dei bolscevichi. Non è un saggio storico perché ci sono troppi errori anche grossolani che denotano una sesquipedale ignoranza della storia del movimento operaio e non solo. Però se non è un libro di storia è certamente un libro pieno di storie che lo fa sfuggire a ogni classificazione. Non è un noir, anche se la rapina della banca di Tbilisi portata a segno dai bolscevichi guidati da Ter-Petrossian, decritto come “il più efficace killer del partito”, diventa un crimine talmente efferato da fare assimilare i rivoluzionari russi a una banda di cloni di Hannibal Lecter. Non è neanche del tutto un romanzo rosa, anche se la relazione amorosa fra Lenin e Inessa Armand viene descritta coi toni del più provinciale e pruriginoso moralismo: “Erano sempre in tre nelle escursioni nella foresta bernese e sui monti attorno a Söremberg in cerca di rododendri e funghi, ma quando si trattava di raggiungere i rifugi alpini, si incamminavano soltanto in due, Vladimir Il’ič e Inessa”. Certo però non ci si deve stupire per questa “escursione letteraria” in un genere tanto stucchevole. Le recenti vicende politiche dell’Italia hanno ribadito un fatto che forse non viene messo abbastanza in evidenza: quando una società non sa più immaginare il suo futuro, dilaga il romanzo rosa. Inutile dire che questo fa le fortune di certi romanzieri e delle loro famiglie. Evidentemente anche Sangiuliano pensava che aggiungere agli ingredienti della sua peperonata letteraria qualche pizzico di “amore e sesso”, raccontati secondo i canoni estetici prescritti dalla morale repressiva, avrebbe rafforzato le sue chances di entrare nella più esclusiva fiera delle vanità politicantesche, l’inner circle di Giorgia Meloni.
Tornando a Lenin a Capri, una rapida e assai incompleta rassegna degli errori marchiani collezionati dallo storico improvvisato è a questo punto assolutamente necessaria. A pagina 98 si legge di Arturo Labriola del quale, secondo Sangiuliano: “Nel 1897 Lenin aveva ricevuto un’edizione dei Saggi sulla concezione materialistica della storia, volume scritto da Labriola, e aveva ringraziato l’autore scrivendo che il testo era «serio e interessante, meritevole di traduzione». Nel 1905, inoltre, per sostenere Ferri e Labriola, aveva espresso un giudizio sprezzante sui riformisti…”. Davvero non può mancare di provocare una certa ilarità l’involontaria comicità di colui che affida alla carta stampata un libro in cui si scambia il sindacalista rivoluzionario napoletano (dunque concittadino di Sangiuliano) e futuro interventista Arturo Labriola, col cassinate Antonio Labriola, autore dei famosi saggi sulla concezione materialistica della storia sopracitati e il primo eminente teorico marxista nella storia del movimento operaio italiano. Ancora più micidiale invece è il passaggio a pagina 112 in cui si parla dei “quattro più eminenti esponenti del socialismo russo: Plechanov, Trotckij, Kautsky e lo stesso Lenin”. Anche fare diventare russo Kautsky per la terminazione slava del suo cognome, è un’altra genialata notevole del nostro intrepido autore. Forse appena più veniale lo strafalcione di pagina 55 che vuole Trockij “bolscevico” già nel primo decennio del secolo XX.
“Habent sua fata libelli”, propone un vecchio adagio. Il fato del libello del Genny fu quello di essere distribuito perlopiù gratuitamente fra politici e giornalisti affinché un ampio pubblico fosse consapevole del talento letterario dell’autore (in certi ambienti chi non conserva una copia autografa di almeno una delle opere del Nostro?) e qualcuno potesse abboccare a un’esca mal dissimulata per allocchi “di sinistra”. Così una dozzina di anni fa ad accompagnare Sangiuliano nelle presentazioni pubbliche di “Scacco allo zar” non mancava quasi mai il “comunista” Marco Rizzo col quale il futuro ministro strinse un lungo sodalizio. Nel profilo X di Marco Rizzo, campeggia ancora una foto del 21 ottobre del 2022 nella cui didascalia si legge: “Ho avuto modo di relazionarmi per la prima volta col nuovo ministro della cultura Gennaro Sangiuliano nel 2012 durante la presentazione del suo libro “Scacco allo Zar. Lenin a Capri, genesi della rivoluzione». Un avversario vero, storico competente” (sic).
Nel 2012 Sangiuliano compie il vero grande balzo in avanti nella sua carriera giornalistica e diventa direttore del Tg2. La logica della lottizzazione lo vuole in quota Lega e lui dimostra subito la sua sincera devozione per il suo mandante nonché lugubre saltimbanco dello spettacolo politico Matteo Salvini. Non molti dei lettori di Collegamenti avranno potuto apprezzare quel capolavoro di mistificazione mediatica che fu il telegiornale sangiulianesco. I servizi di politica, economia, esteri e cultura avevano una parvenza di verosimiglianza, dietro la quale si nascondeva una sapiente regia finalizzata a descrivere il mondo in linea coi pregiudizi più stantii e radicati della destra estrema, senza dimenticare di garantire grande visibilità al ministro dell’Interno Matteo Salvini e alle sue malefatte trasformate per magia in atti eroici. Erano frequenti le interviste a campioni del populismo e del sovranismo come il reazionario e fanatico consigliere di Trump, Steve Bannon, o l’ultranazionalista russo di orientamento ideologico tradizionalista evoliano, Alexandr Dugin. Le loro interviste campeggiarono per parecchi mesi in podcast sul sito del Tg2 senza che nessuno notasse la loro repentina sparizione quando i due caddero in disgrazia, il primo perché arrestato nel 2020 con l’accusa di frode per una raccolta di fondi on line a sostegno della costruzione del muro contro i migranti fra Usa e Messico, il secondo perché troppo amico di Putin mentre si andava preparando la guerra in Ucraina.
La delirante rappresentazione del mondo che veniva offerta dal Tg2 di Sangiuliano era il frutto di un lavoro di mistificazione non banale e a suo modo abbastanza sofisticato. Strumenti privilegiati per l’intervento di carattere propagandistico erano i sevizi dedicati agli immigrati. La martellante campagna contro “i trafficanti di esseri umani” contribuiva a criminalizzare gli sbarchi. A giudicare dai risultati crediamo di non allontanarci troppo dal vero se pensiamo che ogni giorno durante le riunioni per fare la scaletta del giornale l’ineffabile direttore chiedesse al caporedattore della redazione della cronaca cosa avessero fatto di grave o comunque di illegale “i negri” e se per caso un omicidio o uno stupro fornissero l’occasione per dare l’impressione alla cosiddetta opinione pubblica che l’Italia fosse un paese in balia del crimine e della più violenta barbarie e che pertanto si dovessero adottare leggi più dure per fare fronte alle “emergenze” inventate dai Goebbels di turno. Il risultato fu una feroce campagna persecutoria nei confronti dei migranti e dei ladri di polli, in cui traendo spunto da episodi alle volte anche insignificanti, si riempivano parecchi minuti di telegiornale per arrivare a una rappresentazione caricaturale dell’immigrato descritto spesso come spietato delinquente. Una volta vennero mandate in onda le immagini di un nigeriano ricoverato per problemi psichici al Policlinico Umberto I di Roma mentre dava un cazzotto a un portantino. Qualche tempo dopo un giornalista assai zelante agli ordini di scuderia veniva inviato a Chiaiano, vicino a Napoli, dove un altro nigeriano, durante una zuffa, aveva dato un pugno ad un tabaccaio, il quale morì dopo un mese di ospedale. L’inviato, arrivato dunque a Chiaiano un mese dopo il fattaccio, nelle sue dirette berciava che la gente del luogo chiedeva una punizione esemplare e che il nigeriano era un tipo che ciondolava davanti alla stazione della metro dove si trovava la tabaccheria, “infastidendo le ragazze”. Inutile dire che all’epoca, né in seguito, nessuno fece le pulci a Sangiuliano sulle migliaia di euro dell’azienda radiotelevisiva di Stato dissipati per pagare la trasferta al suddetto inviato per quattro giorni a Chiaiano con tanto di troupe al seguito.
Allo stesso tempo però al mercuriale direttore non mancava l’audacia per fare intervistare e invitare in studio con una frequenza regolare il suo “comunista” ammaestrato di comodo, quel Marco Rizzo che in cambio di una notevole visibilità mediatica, faceva guadagnare a Genny una patente di tolleranza, oltre che la fama di essere un uomo di ampie vedute. Allo stesso tempo però, in un’intervista televisiva, lo stesso Sangiuliano non nascondeva la sua opinione che i partiti comunisti dovessero essere messi tutti fuorilegge. Fu infatti un altro suo vero capolavoro quello di dire tutto e il contrario senza darlo troppo a vedere, ma riuscendo a fare con grande efficacia il suo lavoro di ratifica dell’ideologia reazionaria.
Quanti hanno visto le decine di gaffe come ministro della cultura, non sempre sono consapevoli che la sua campagna propagandistica, spacciata abusivamente per giornalismo, aiutò la Lega di Salvini a stravincere le elezioni europee del 2019 e in seguito ebbe una funzione niente affatto secondaria nella vittoria di Fratelli d’Italia nelle elezioni politiche del 2022. Nel frattempo, il Genny da consumato desultore della politica, era salito sul carro di Giorgia annusandone con largo anticipo il successo. Dunque fu per “meriti” per noi discutibili ma assolutamente reali, se la nuova premier che aveva buone ragioni per essergli riconoscente, decise di farlo ministro.
Il titolare del dicastero della cultura non seppe propagandare la sua immagine con la stessa efficacia con cui lo aveva fatto con quella dei suoi padrini politici. Il primo inciampo nella nuova veste di ministro fu la proposta di sopprimere le domeniche gratuite nei musei. Questa disinvoltura nell’ostentare il suo disprezzo per le classi subalterne e la sua indifferenza per le loro condizioni, fa parte del personaggio. A Roma, da quasi due anni, tutti coloro che passano per piazza della Rotonda vedono in ogni stagione dell’anno una lunga fila di turisti che si sviluppa per parecchie decine di metri. Forse quello di istituire il biglietto d’ingresso per visitare il Pantheon fu il risultato più cospicuo raggiunto da Genny ministro. Per il resto ha sabotato la sua carriera politica come non lo ha fatto quasi nessuno, apparendo se possibile, ancora più ignorante di quanto non sia in realtà. Non ha letto i libri in concorso al premio Strega dove faceva parte della giuria e perdipiù ha avuto la malaccortezza di lasciarselo sfuggire davanti alle telecamere. Poi ha notoriamente collocato Times Square a Londra e Galileo prima di Colombo in due trasmissioni televisive, come se non avesse mai frequentato le scuole elementari. Ma forse era soltanto l’emozione di chi poteva finalmente apparire come non lo aveva mai fatto in vita sua. Passata la sessantina, in certi individui sopraggiunge un certo narcisismo che li spinge a tentare di recuperare il tempo perduto per fare quello che hanno sempre sognato di fare senza mai riuscirci.
Questo articolo si ferma qui. Di Sangiuliano si è detto nella sostanza già tutto il male che merita, ma il tipo non è degno di altra fatica. Della vicenda di per sé irrilevante che lo ha portato alle dimissioni non ce ne importerebbe un bel fico secco. Forse l’unico aspetto rilevante è che la fessaggine dell’uomo di potere di fronte al gentil sesso è stato ancora una volta un grimaldello per aprire la porta a una probabile crisi di governo e per adesso ha posto una pietra tombale sulle ambizioni di egemonia culturale della destra.
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