Dal n. 7 (autunno 2024) di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” riportiamo questo report sui problemi della scuola italiana all’inizio del nuovo anno scolastico scritto da Alina Rosini
Estate luciferina questa che sta terminando, caratterizzata da pesanti azioni perpetrate dal governo volte alla demolizione della scuola pubblica.
Alla fine di giugno il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha festeggiato la nascita della Fondazione della Scuola, un ente finanziato da privati quali Leonardo s.p.a., una delle aziende leader mondiali per la produzione di armi, UniCredit, Banco BPM, Enel Italia S.p.A, e Autostrade per l’Italia, che nei prossimi 5 anni dovrà reperire 50 milioni di euro da destinare al finanziamento della scuola ormai sempre meno statale.
L’accordo è stato subito siglato. In cambio, i gruppi finanziari utilizzeranno la scuola per la formazione delle figure professionali a loro uso e consumo, arrivando anche a inserire “gli esperti”, i loro esperti, perché ormai il ruolo docente è sempre più quello dell’intrattenitore e/o facilitatore.
Le competenze hanno sostituito i saperi, ormai finalizzati alle crocette, e i discenti sono sempre più privati della capacità di critica e di lettura globale degli eventi.
Non è casuale che contemporaneamente il Ministero abbia dato avvio alla riforma degli istituti tecnici e professionali, rispolverando l’avviamento professionale che pensavamo ormai morto e sepolto.
Coloro che non saranno “brillanti” nelle prove Invalsi verranno indirizzati alla filiera dove, man mano, i manager locali sostituiranno i docenti, le materie umanistiche saranno ridotte al minimo così da sviluppare al massimo le competenze non cognitive: il lavoratore di domani, soggiogato alle imprese locali, deve fare e non sapere e – eliminata qualsiasi velleità di formazione, potenziamento e valorizzazione dello spirito critico – sarà predisposto ad accettare supinamente tutto.
Per coinvolgere meglio tutti in questo processo che vede la scuola tornare sempre più indietro nel tempo, ecco le nuove linee guida di Valditara sull’educazione civica, dove la Costituzione viene piegata ai suoi intenti: centrali diventano l’amore per la patria, lo studio della storia nazionale e locale che serve per l'”integrazione degli studenti stranieri” (ovvero l’assimilazione), l’ordine e la disciplina, la tutela della proprietà privata e la promozione della cultura d’impresa.
Il modello ministeriale del futuro cittadino è l’uomo forte che si autodetermina affrontando le sfide delle trasformazioni sociali, comprese quelle legate a un welfare fatiscente che rende necessaria la promozione dell’educazione finanziaria e assicurativa, al risparmio e alla pianificazione previdenziale, per divulgare la cultura dell’istruzione e sanità private nonché quella della previdenza complementare.
In tale contesto il corpo docente non sempre è stato del tutto silente, sono diversi i collegi dei docenti degli istituti superiori che hanno contrastato con l’ostruzionismo sia i progetti PNRR che la sperimentazione della filiera tecnico-professionale nonché il liceo meloniano del “Made in Italy”, una sorta di scuola patriottica dal nome accattivante che avrebbe dato valore alle imprese locali.
Questi tentativi di emancipazione dei docenti stanno rianimando con grande fatica una rana che si spera non sia ancora del tutto bollita; sono nate associazioni, organizzazioni e persino collettivi di categoria che studiano mettendo in discussione tutto l’assetto dell’istruzione avanzando proposte e azioni per contrastare la verticalizzazione del sistema scuola al cui apice siede il dirigente scolastico; l’aziendalizzazione dell’istruzione che mette in subordine il sapere alla logica di ipotetici profitti, ovvero la creazione di una popolazione con limitata capacità di critica ma addestrata a eseguire gli ordini; la mercificazione del sapere e del lavoro che permette solo ai più facoltosi di ambire a diventare insegnanti attraverso l’acquisizione dell’abilitazione presso le università statali o private.
L’avanzata è ancora troppo timida e quella che manca è una visione d’insieme, la capacità di andare oltre le vertenze circoscritte a singole questioni: il mondo dei docenti fa capo a un universo già frammentato dal punto di vista organizzativo (ordini e gradi, classi di concorso, specializzazioni e abilitazioni) atomizzato sempre di più dalle politiche scolastiche del reclutamento (gli ultimi 4 concorsi, svolti nell’arco di 4 anni, sono stati diversi tra loro sia nello svolgimento che nei diritti acquisiti in uscita) e dai nuovi meccanismi aziendalistici (tutor, orientatori, collaboratori di serie A e di serie B). Dividi et impera: un’antica strategia del potere ancora vincente.
Il ruolo di trait d’union era svolto dai sindacati che, in misura e forme diverse, avevano capacità di costruire mobilitazioni generali o per convincimento per quel che riguarda il sindacalismo di base o, quantomeno per tener sotto controllo la situazione, per quel che riguarda i sindacati istituzionali e concertativi.
L’ultimo tentativo riuscito di mobilitazione “unitaria” risale allo sciopero contro la riforma della “buona scuola”, il 5 maggio del 2015, indetto dalle sigle concertative e di base, ha visto la partecipazione di oltre il 70% dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola.
Il risultato è stata una parziale revisione della riforma che ha accontento i sindacati maggioritari che, a distanza di qualche giorno dallo sciopero, hanno apposto la loro firma e, soprattutto, un sostanziale e graduale smantellamento della riforma da parte degli stessi governi.
Questo è forse l’ultimo degli eventi che hanno radicalmente indebolito i rapporti tra sindacati e lavoratori, perché questi ultimi, pur avendo impiegato tanto entusiasmo nelle lotte di rivendicazione, si sono sentiti traditi da una firma frettolosa e hanno maturato una perdita di fiducia nei confronti delle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative che si è tradotta purtroppo più in passività che nell’assunzione di scelte sindacali radicali.
La “buona scuola” di renziana memoria ha comunque accelerato il processo di aziendalizzazione della scuola: per esempio l’alternanza scuola-lavoro, rinominata Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, PCTO, ha permesso una più stretta collaborazione tra imprese e scuola.
I presidi non sono più, nemmeno nella misura limitata in cui lo erano prima, un punto di riferimento culturale e si sono trasformati in Dirigenti scolastici, diventando dei burocrati con forti poteri decisionali fino a potere, in alcuni casi, scegliere i docenti (quest’ultima fase per ora si limita a parte del personale nominato sul sostegno con la mini call veloce). D’altro canto anche quest’anno, di fronte al disastro determinato dall’uso dell’algoritmo per la scelta del personale precario le loro rappresentanze sindacali sono tornate e premere per l’assunzione diretta del personale da parte delle scuole, leggasi i Dirigenti.
Parallelamente i Collegi dei Docenti vengono depauperati delle proprie funzioni e ridotti a meri approvifici.
Non è secondario, per comprendere il quadro generale, il modificarsi in peggio del meccanismo di reclutamento che, dal 2016 ad oggi, ha visto il susseguirsi di molteplici modalità d’espletamento di concorsi e relativi sistemi di immissione in ruolo che hanno portato alla segmentazione degli aspiranti docenti, spinti a chiudersi in gruppi ognuno con proprie doglianze e rivendicazioni.
La destrutturazione delle vertenze, l’incapacità del lavoratore medio di vedere il problema nella sua interezza e il conseguente appiattimento culturale della classe docente (che di rado è consapevole anche delle criticità del proprio contratto) ha determinato un cambiamento di rapporto con le organizzazioni sindacali sia istituzionali che autonome.
I sindacati istituzionali si sono ridotti, sovente di buon grado, ancor più che in passato a essere un centro di servizi atti a risolvere questioni meramente burocratiche, a gestire i conflitti con l’arma dei ricorsi o a organizzare proteste di microcosmi concentrati tutti sul proprio ombelico.
Questo svilimento organizzativo colpisce inevitabilmente anche i sindacati conflittuali i cui militanti, seppur dotati di capacità di critica costruttiva, sono decisamente in numero limitato e faticano enormemente nel tentativo di formare una coscienza di classe anche all’interno dei nuovi iscritti che spesso hanno una scarsa consapevolezza della realtà in cui entrano a far parte e della cornice generale.
All’interno del sindacalismo di base il cammino si prospetta lungo e complesso, è necessaria una riflessione che vada verso l’organizzazione del malcontento generale offrendo, voglio essere ottimista, strumenti e percorsi di lotta attuabili.
In tal senso è auspicabile l’ampliamento delle rivendicazioni di categoria ponendo al centro “a cascata” le macro questioni sociali e politiche di questa fase, come per esempio la legge Calderoli sull’autonomia differenziata che, se attuata, coinvolgerebbe com’è noto non solo la scuola, ma tutti i settori della Pubblica Amministrazione.
Un quadro in cui il Governo si propone di porre fine a qualsiasi forma di opposizione delle lavoratrici e dei lavoratori su base nazionale generando un sistema non omogeneo di autonomie visto che le singole regioni potrebbero scegliere cosa gestire direttamente e cosa, invece, lasciare eventualmente allo Stato e soprattutto avere mano libera negli accordi con i poteri economici presenti sul territorio locale, nazionale e, perché no? europeo.
Un quadro complesso, dunque, non certo rassicurante. Ma alcuni spiragli ci sono, l’inizio dell’anno scolastico è stato caratterizzato da importati mobilitazioni delle colleghe e dei colleghi precari contro l’uso dell’algoritmo e contro la schizofrenia del reclutamento: è necessario coglierli, interpretarli e spingerli verso la luna facendo dimenticare, almeno per un po’, il proprio dito.
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