Le note che seguono non vogliono essere una biografia di Guido Barroero né, tanto meno, un’apologia di un compagno al quale pure mi ha legato un importante rapporto di lavoro nella redazione di Collegamenti Wobbly, e non solo, ed una stima ed amicizia personali.
Si tratta casomai di una testimonianza su di una persona che ritengo abbia dato un contributo interessante e vitale alle vicende del movimento e, se vogliamo, del riconoscimento di un debito per quanto ha, appunto, dato con generosità e impegno alla nostra storia collettiva.
Guido Barroero, è nato nel 1946 in famiglia operaia a Sampierdarena, quartiere proletario di Genova. Le sue origini sociali che non sono certo, di per sé, un merito ne hanno, a mio avviso, influenzato in maniera positiva l’approccio alle vicende politiche e sociali, cosa che peraltro si rileva nelle sue ricerche seguenti.
Si diploma perito tecnico nel 1965, abbandona per motivi economici gli studi di matematica, ma si laurea in filosofia nel 1989, dopo cinque anni di studio-lavoro.
E’, per molti versi, un’intellettuale irregolare, ed io do a questo termine un significato positivo, un proletario intellettuale rigorosamente esterno all’accademia, un militante che unisce passione nella lotta e impegno inesausto nella ricerca storica sulla lotta di classe, nella riflessione teorica generale, nello sviluppo di una critica radicale ai luoghi comuni che sin troppo spesso caratterizzano il nostro ambiente.
Dovendo usare una, discutibile, definizione, è un avversario duro della sciatteria che impoverisce la sinistra che si vuole rivoluzionaria, un ricercatore che porta nel suo lavoro il rigore di chi ha una formazione, nel senso migliore, tecnica.
Metalmeccanico fino alla messa in mobilità e al successivo pensionamento nel 1998, ha sempre svolto attività sindacale di base, anche come RSU aziendale per una ventina d’anni e l’interesse per l’attività sindacale lo ha accompagnato negli anni seguenti nella militanza nel sindacalismo di base prima e nell’USI poi.
Dopo una breve militanza nella FGCI da studente, nel ’68, si avvicina al movimento anarchico, partecipando all’esperienza neo-piattaformista dei primi anni ’70, un’esperienza certo particolare che supererà nel senso migliore del termine – non rinnegamento ma prosecuzione di un percorso di ricerca – mantenendo per le vicende del piattaformismo un interesse storico che si manifesta con una serie di scritti di notevole interesse.
Cito solo quello che ritengo essere il compimento della sua riflessione nel merito, “I figli dell’officina. Storia dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria (GAAP) 1949-1957” edito dal Centro Documentazione Franco Salomone di Fano (PU) nell’ottobre del 2013 anche se i lavori precedenti su questo tema sono meritevoli anch’essi di attenzione .
Mi è occorso più volte di riflettere sul fatto che, per un verso, il Guido Barroero che ho conosciuto era pervenuto nella sua ricerca teorica e politica a posizioni assai diverse – posizioni che gli hanno permesso e mi hanno permesso di lavorare assieme su di un’ipotesi teorico/politica affatto diversa da quelle di questa fase della sua vita – e che, nello stesso tempo, non aveva operato alcuna rimozione ed, anzi, aveva svolto un lavoro di ricerca storica equilibrato ed attento, una manifestazione del rigore che lo caratterizzava.
Alla ricerca su questa corrente dell’anarchismo si è accompagnata quella sulla storia del movimento anarchico in Liguria. Anche in questo caso mi limito ad alcune citazioni a memoria come
“Gli anarchici nella resistenza in Liguria”, in Rivista Storica dell’Anarchismo, n.2 del 1998 “Dagli albori del movimento operaio all’occupazione delle fabbriche” in Umanità Nova 21 del 2002 “Sestri, oh cara! Una cittadella proletaria, anarchica e sovversiva dall’avvento del fascismo alla resistenza” in Umanità Nova n. 37 del 2002
I suoi interessi erano comunque vasti, penso ad esempio alla sua relazione su “L’eredità di Malatesta nel secondo dopoguerra: la presenza degli anarchici nel movimento operaio ” tenuta in occasione di un convegno organizzato dalla Federazione Anarchica Livornese nel marzo del 2004 a suoi scritti seguenti sullo stesso Enrico Malatesta, all’importante contributo sotto forma di scheda bibliografica data al libro di Alibrando Giovannetti “”Il sindacalismo rivoluzionario in Italia: l’azione diretta, le lotte, le conquiste proletarie” Edizione a cura di Zero in condotta, Unione sindacale italiana, Collegamenti Wobbly, Milano 2004 .
Si potrebbero citare molti altri lavori di carattere storico di Guido ma vale la pena di segnalare altri interessi, in particolare quello per un personaggio singolare come Ret Marut, più conosciuto come Berick Traven Torsva, l’autore de “Il tesoro de la Sierra Madre” dal quale è stato tratto un famoso film di John Huston, con Humphrey Bogart e di molti altri testi e sul quale ha scritto il libro “Ret Marut – B. Traven: dalla rivoluzione tedesca al Messico in fiamme ” Ed. Annexia, Genova 2006. In particolare abbiamo ragionato assieme sul romanzo “La nave morta” che evidentemente amava particolarmente. Tornando a Ret Marut, era un compagno del quale si sa poco, la cui biografia è problematica e che pare abbia partecipato alla rivoluzione tedesca prima di emigrare in Messico, un uomo che ha vissuto nel mistero e nella volontaria oscurità, un personaggio che rivela molto del carattere e delle curiosità di Guido apparentemente così diverso da lui.
Insomma, il Guido Barroero saldamente collocato nella dimensione comunista e classista dell’anarchismo in difesa della quale ha sostenuto polemiche vivaci e rigorose su A Rivista Anarchica, e non solo, era nello stesso tempo attento alla dimensione tutta individuale di ricerca di una rottura con l’esistente, con il carattere alienato ed alienante della vita quotidiana nella società capitalistica e mercantile.
D’altronde è la sua curiosità intellettuale, aliena da bigottismo corrente, che spiega il suo interesse per testi come “L’anarca” di Ernst Jünger, certo non politically correct.
In questa sua complessità al limite della contraddittorietà, nel suo cercare le vie di uscita dal dominio della stato e del capitale, nel fare una ricerca profondamente sentita era, almeno per me, parte del suo fascino.
Meno sicuro sono delle ragioni per le quali mi è stato amico e compagno. Sicuramente la collaborazione nella rivista “Collegamenti Wobbly” che credo amasse per il suo carattere di luogo di sperimentazione, innovazione e ricerca ed alla quale si è applicato con un impegno rigoroso è stato il luogo e l’occasione di un lavoro comune importante per entrambi nel quale abbiamo scoperto un’affinità notevole ma vi era altro, vi erano curiosità intellettuali militanti e non militanti, penso ad esempio a quella per la fantascienza, comuni, vi era soprattutto un dialogo, e non credo di essere stato il solo ad averne con lui, che si è mantenuto anche dopo la fine della serie della rivista alla quale abbiamo lavorato assieme.
Per concludere, mi colpisce il fatto che leggendo suoi scritti o ripensando a conversazioni avute anche in anni lontani, mi capita, fra me e me, di riprendere il filo d un discorso, dell’opporre argomenti ad argomenti – ad esempio sulla questione sindacale rispetto alla quale siamo negli ultimi anni pervenuti a posizioni diverse, di immaginare le sue risposte e un’esperienza del genere, lo dico senza volerne fare un mito, capita raramente.
Cosimo Scarinzi, in Collegamenti/Wobbly. Interventi ed analisi dal basso, a. I, n. 1, nuova serie, cennaio 2016
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