Riportiamo l’articolo di Maria Matteo, pubblicato sull’ultimo numero di “Collegamenti”, n. 5 newsletter novembre 2023
“Era la capitale dell’auto. L’industria automobilistica era indicata tra le eccellenze cittadine nei cartelli di ingresso alla città.
Oggi Torino è attraversata da due processi trasformativi paralleli: la città vetrina e la città delle armi. Il primo è ampiamente pubblicizzato, del secondo si parla poco e male. La lenta inesorabile fuga della Fiat, ormai solo più un marchio per le auto, ha decretato la decadenza e l’impoverimento della città. Sulle macerie di quella storia le amministrazioni comunali di questi ultimi anni, hanno provato a costruire, con alterna fortuna, “la città vetrina per i grandi eventi”, una scelta dalle conseguenze politiche e sociali devastanti, perché si è basata su interventi di riqualificazione escludenti, una sempre più netta dinamica di gentrification.
La gentrification è una trasformazione fisica, sociale, economica che per la prima volta è stata osservata a Londra negli anni ’60. All’epoca era un fenomeno sporadico e spontaneo, oggi, a varie latitudini, è divenuta una scelta strategica degli attori politici ed economici che governano le città. La gentrification avviene nelle aree urbane, in quartieri centrali o limitrofi al centro città generalmente occupati da fasce popolari. La riqualificazione dell’ambiente urbano e degli edifici rende queste zone appetibili per i ricchi, innescando un aumento dei prezzi degli immobili, degli affitti, dei bar e dei negozi, che provoca l’allontanamento dei poveri che ci abitavano in precedenza. In alcuni casi “l’avanguardia” del cambiamento è costituita da una popolazione di giovani creativi attratti dalla vivacità di certe periferie, la cui stessa presenza accelera la trasformazione dei pezzi di città in cui abitano. Spesso finiscono con il divenire catalizzatori delle scelte di gentrification per poi venire a loro volta espulsi, se non si adattano al ruolo di alternativi da vetrina, utili a mantenere un’aura “esotica” alle aree investite. Tra loro vengono reclutati i “giovani imprenditori” che si aggiudicano i lavori di restyling e adattamento culturale necessari sia a rendere più “morbida” la transizione, sia ad una narrazione più accattivante.
Negli anni abbiamo assistito ad un progressivo accrescimento del ruolo dell’attore pubblico e ad un’espansione tanto orizzontale (ovvero la diffusione del fenomeno a livello globale) quanto verticale (la gentrification infatti non investe solo più la dimensione metropolitana ma anche le aree urbane di minore dimensione). Dagli anni ’90 in poi, con la globalizzazione e la fine del sistema fordista, il governo delle città riduce drasticamente il proprio ruolo nella promozione e gestione di servizi pubblici e basa il proprio intervento su logiche orientate principalmente al profitto. Questo scopo viene perseguito sia attraverso gli strumenti urbanistici e la pianificazione, sia attraverso strategie di produzione di beni simbolici quali cultura, intrattenimento e svago.
A Torino il processo di trasformazione, inizialmente molto lento, ha avuto un impatto sociale che è stato possibile percepire solo a posteriori in aree come il quadrilatero romano e, in certa misura, anche San Salvario.
Nell’ultimo decennio c’è stata una brusca accelerazione.
Le riqualificazioni escludenti che hanno investito alcune zone della città, socialmente periferiche, ma geograficamente vicine al centro, derivano sia dal “vuoto” urbano, dagli immensi crateri lasciati dall’abbandono delle grandi fabbriche, sia dalla spinta alla turistificazione e studentizzazione di intere aree cittadine. Al posto delle fabbriche sono sorti centri commerciali, spazi culturali, centri per esposizioni e congressi, strutture dedicate allo sport.
Un esempio importante è il Campus Einaudi inaugurato il 22 settembre del 2012.
La nuova struttura universitaria sorta lungo le sponde della Dora ha determinato una trasformazione urbana molto rapida: i costi di locazione delle case, affittate a student* a prezzi altissimi, la nascita di locali dedicati alla movida giovane, hanno scatenato una reazione a catena che ha investito il quartiere Aurora.
L’apertura della Nuvola Lavazza nel giugno del 2018 ha impresso una nuova accelerazione alle dinamiche di gentrification del quartiere, secondo una tendenza che vede le amministrazioni comunali arare il terreno che viene poi messo a valore dall’imprenditoria privata.
Questo fenomeno non è specifico di Torino. David Harvey, studioso di geografia urbana, ha descritto il passaggio da una città manageriale, che gestisce un budget e lo amministra, a una città imprenditoriale che prepara il tessuto urbano per i vari Combo, Student Hotel, Mercato centrale… Non è più un governo della città che semplicemente gestisce, ma che facilita e apre la strada ad altri attori.
L’attuazione di questo tipo di strategie crea polarizzazioni sociali e veri e propri processi di esclusione sociale.
La trasformazione urbana sta investendo sia aree ex industriali, sia quartieri abitati in modo significativo da una popolazione razzializzata e povera.
Il governo della città ha scelto di non approntare strumenti di attenuazione dell’impatto sociale delle scelte operate, demandandone la gestione alla polizia. Semmai si foraggiano associazioni e cooperative “amiche” perché trasformino la povertà in esotismo per turisti, intercettando e trovando complicità tra la nascente borghesia immigrata e nel fitto sottobosco clientelare delle associazioni e delle cooperative del sociale.
Non solo. Vengono promossi progetti che, sotto il cappello della riqualificazione, hanno come obiettivo il controllo del territorio. É il caso di ToNite. Un’iniziativa del comune di Torino nell’ambito del programma “European Urban Initiative”, che, utilizzando il Fondo Europeo di sviluppo regionale, mette insieme progetti diversi diretti alla vita notturna lungo la Dora tutti accomunati dall’intento esplicito di “aumentare la sicurezza percepita” da parte dei nuovi abitanti della zona, che – per ora – devono convivere con i vecchi residenti.
La violenza istituzionale, la militarizzazione dei quartieri “difficili” diviene sistematica, anche se costantemente narrata secondo gli stilemi “dell’emergenza”, della “sicurezza”, della “paura”.
La trasformazione urbana non risparmia le aree verdi, investite da colate di cemento. Si va dalla Pellerina, dove verrà edificato il nuovo ospedale per l’area nord-ovest della città, agli spazi verdi destinati all’ennesimo supermercato all’ex caserma La Marmora, sino alla costruzione del “Parco dello Sport” al Meisino.
Torino, al contrario di Milano, che ha oltrepassato brillantemente i processi di deindustrializzazione della fine del secolo scorso, non riesce ad uscire dal pantano del dopo Fiat. I grandi eventi come il salone del libro, l’Eurocontest dello scorso anno, i campionati di tennis, etc, attraggono migliaia di visitatori, riempiono alberghi e ristoranti ma sinora non sono stati la chiave destinata ad aprire una porta sul futuro immaginato dai padroni della città.
“Always on the move” “sempre in movimento”, lo slogan coniato dall’amministrazione Chiamparino per le olimpiadi invernali del 2006, finite con impianti abbandonati e debiti, è l’emblema di una città dove, always on the move ci sono le migliaia di lavoratori precari sempre in moto per mettere insieme il pranzo con la cena.
Città delle armi?
Il settore delle armi è il secondo cavallo di battaglia sul quale scommettono le amministrazioni locali e l’imprenditoria subalpina.
Il progetto di Città dell’Aerospazio e l’approdo in città di un acceleratore di innovazione della NATO ne sono l’indicatore più chiaro.
Torino già oggi è uno dei centri dell’industria bellica.
Sono 350 le aziende grandi e piccole con un fatturato di circa 7 miliardi di euro.
Ogni due anni vi si tiene l’Aerospace and defence meetings, che nel 2023 arriva alla nona edizione.
Quella di quest’anno si svolgerà dal 28 al 30 novembre, come di consueto negli spazi dell’Oval Lingotto, centro congressi facente parte delle strutture nate sulle ceneri del complesso industriale dell’ex Fiat.
La mostra-mercato è riservata agli addetti ai lavori: fabbriche del settore, governi e organizzazioni internazionali, esponenti delle forze armate, rappresentanti dei governi e compagnie di contractor. Alla scorsa edizione parteciparono 600 aziende, 1300 tra acquirenti, venditori e rappresentanti di 30 governi. Il vero fulcro della convention sono gli incontri bilaterali per stringere accordi di cooperazione e vendita: nel 2021 ce ne furono oltre 7.500.
All’Oval saranno allestiti alveari di uffici, dove si sottoscriveranno accordi commerciali per le armi che distruggono intere città, massacrano civili, avvelenano terre e fiumi. L’industria aerospaziale produce cacciabombardieri, missili balistici, sistemi di controllo satellitare, elicotteri da combattimento, droni armati per azioni a distanza.
L’Aerospace and defence meetings è un evento semi clandestino, chiuso, dove si giocano partite mortali per milioni di persone in ogni dove.
Tra gli sponsor ospiti del meeting spiccano la Regione Piemonte e la Camera di Commercio subalpina.
Settima nel mondo e quarta in Europa, con un giro d’affari di oltre 16.4 miliardi di euro, 47.274 addetti l’industria aerospaziale è un enorme business di morte.
La gran parte delle aziende italiane dell’aerospazio si trova in Piemonte, dove il giro d’affari annuale è di 3,9 miliardi euro. I settori produttivi sono strettamente connessi con le università, in primis il Politecnico, e altri settori della formazione.
In Piemonte, ci sono ben cinque attori internazionali di primo piano: Leonardo, Avio Aero, Collins Aerospace, Thales Alenia Space, ALTEC. Gran parte delle industrie mondiali di prima grandezza partecipano alla biennale dell’aerospazio.
La nascita, nel 2019, del Distretto Aerospaziale Piemontese ha segnato un’accelerazione per l’industria bellica aerospaziale nella nostra regione.
Il Distretto Aerospaziale Piemontese svolge un compito di promozione ed affiancamento delle attività delle industrie del settore.
La Città dell’aerospazio, un centro di eccellenza per l’industria bellica aerospaziale promosso dal colosso armiero Leonardo e dal Politecnico subalpino, sorgerà tra Corso Francia e Corso Marche.
La cessione da parte di Leonardo di parte degli spazi dell’ex Alenia al Politecnico, pare aver rimesso in moto un’impresa ferma ai blocchi di partenza dal novembre 2021, quando ne venne annunciata la costruzione all’ottavo Aerospace and Defence Meetings. Leonardo ha promesso l’avvio dei lavori entro la fine di quest’anno.
La campagna di informazione e lotta fatta negli ultimi anni dall’Assemblea Antimilitarista è riuscita a far emergere dall’opacità un progetto che mira a trasformare la nostra città in polo ad alta tecnologia per lo sviluppo dell’industria bellica. Il focus della ricerca è il miglioramento dell’efficienza dei micidiali strumenti già oggi capaci di distruggere il pianeta. Cruciale quindi il ruolo del Politecnico che accelera il processo di integrazione nel complesso militare industriale trasferendo parte della ricerca in una struttura di proprietà di Leonardo.
Non saranno certo le nebbie del “dual use” (militare e civile) o l’immaginario dei viaggi spaziali a nascondere la realtà.
La Città dell’Aerospazio ospiterà anche un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa, uno dei nove nodi europei del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO.
Questo progetto, partito nel giugno 2021 a Bruxelles, si inserisce nei programmi di innovazione tecnologica della NATO per il 2030. Compito del polo di Torino è quello di coordinare e gestire, attraverso bandi e fondi messi a disposizione dai Paesi alleati, una rete di aziende e start up italiane, per metterla al servizio delle necessità dell’Alleanza. In attesa della costruzione della Città dell’aerospazio l’acceleratore di innovazione ha sede alle OGR.
In questo progetto la NATO investe un miliardo di dollari. Una montagna di soldi utilizzati per produrre tecnologie sempre più sofisticate, sempre più mortali.
L’Alleanza Atlantica seleziona aziende e start up che hanno il compito di concretizzare i programmi di innovazione tecnologica della NATO per il 2030.
Crosetto, presidente del Distretto aerospaziale del Piemonte, una volta divenuto ministro della Difesa ha pigiato con forza il pedale dell’acceleratore con la complicità attiva del rettore del Politecnico Saracco.
La Città dell’Aerospazio e l’acceleratore di innovazione della NATO sono sostenute attivamente dal governo della città, da quello della Regione e da Confindustria.
I diversi attori imprenditoriali e politici sostengono il progetto giocando la carta del ricatto occupazionale, in una città sempre più povera, dove arrivare a fine mese è ancora più difficile, dove salute, istruzione, trasporti sono sempre più un privilegio per chi può pagare.
I poveri, ogni volta che vanno a fare la spesa, portano a casa sempre meno cibo, abiti, medicine, perché l’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni di prima necessità sta rendendo ancora più precarie le vite di tutti.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospera la nostra città. Un’economia di guerra produce solo altra guerra.
Non è difficile immaginare quanto migliori sarebbero le nostre vite se la ricerca e la produzione venissero usate per la cura invece che per la guerra.
Contrastare la nascita del nuovo polo bellico a Torino non è mera opposizione etica alle guerre capitaliste ed imperialiste, ma anche un passaggio necessario a ripensare lo spazio urbano e chi ci vive, come luogo di negazione delle dinamiche gerarchiche sottese all’opaca città dell’aerospazio ed alla scintillante vetrina dei grandi eventi.
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