dal n. 7 (autunno 2024) di “Collegamenti” appena pubblicato riportiamo questa recensione di Lorenzo Gregori
Il libro di Lilith Verdini – Luigi Fabbri. Un maestro anarchico (1877-1935), Edizioni Malamente, 2024 – ha l’obiettivo di dare risalto all’attività e al pensiero educativo di Luigi Fabbri, restituendo al lettore un’immagine più completa dell’anarchico marchigiano. Se, infatti, la storia militante e il pensiero politico sono stati ampiamente rappresentati dai suoi scritti apparsi sui diversi giornali anarchici o negli opuscoli divulgativi, oltreché dalle biografie a lui dedicate – prima fra tutte quella della figlia Luce – l’attività di maestro e il pensiero pedagogico hanno decisamente avuto meno risalto. È molto probabile che il “Fabbri educatore”, che tanto spazio ha occupato nella breve vita dell’anarchico fabrianese, sia stato oscurato dalla risonanza conseguente all’attività militante – con vicende biografiche che, come è noto, lo hanno condotto ad affrontare il carcere e l’esilio – ma anche da un pensiero educativo fortemente influenzato dalla cultura positivista dell’epoca e, più in specifico in ambito pedagogico, dall’opera del principale esponente anarchico dell’educazione libertaria di quegli anni: Francisco Ferrer y Guardia, fondatore nel 1901 della Escuela Moderna, del quale Fabbri è considerato in Italia il suo principale divulgatore.
L’autrice del libro, nel mettere a fuoco le riflessioni di Fabbri sviluppatesi in un periodo storico cruciale della storia dell’istituzione scolastica italiana, fa emergere in modo organico le diverse “considerazioni critiche sull’ordinamento, i metodi e i programmi della scuola borghese, statale e confessionale”, così distante dalle più recenti evidenze ed esperienze pedagogiche di quegli anni. Se, infatti, il pensiero educativo dell’anarchico marchigiano, pur essendo al passo dei tempi, potrebbe risultare non particolarmente originale, il suo metodo, volto ad integrare l’azione e la riflessione politico-sociale con quella educativa e di insegnante, ha generato un’originale ed efficace critica al sistema educativo e scolastico dell’epoca che ben rappresenta il punto di vista anarchico sul tema. A testimonianza di questo approccio, risultano utili, ad esempio, gli interventi sul settimanale anarchico “Fede”, nel quale, con lo pseudonimo di “Magister Ludi” che rimanda alla doppia traduzione di “maestro di gioco” e “maestro di scuola”, affronta con lucidità, e sempre in una prospettiva libertaria, i pericoli delle più importanti riforme scolastiche di quegli anni. Alla legge Daneo-Credaro (1911) che prevede l’avocazione della scuola elementare allo Stato, Fabbri rimprovera la tendenza, propria dello Stato, ad accentrare ogni funzione nelle sue mani, producendo, fra gli altri aspetti, una riduzione delle scuole presenti sul territorio nazionale, in particolare nelle aree rurali. Non meno severa è la critica rivolta all’imposizione ipocrita dell’obbligo scolastico della scuola elementare “…vantata come una conquista rivoluzionaria dei pedagogisti giacobini”, l’obbligo scolastico “…sarebbe un non senso se non ci fosse la miseria, perché nessun genitore lascerebbe crescere analfabeta i suoi figlioli se fosse in condizioni economiche tollerabili.”
Nel prendere, invece, in esame la Riforma Gentile (1923), fra gli altri aspetti, viene evidenziata la gravità dell’annullamento della libertà dei maestri dove “gli insegnanti, servi dello Stato, devono infondere negli alunni una scienza, un pensiero ed una coscienza di Stato” e se questi non vorranno sottostare a quanto richiesto, “saranno immediatamente invitati ad andare”. Profeticamente, nel 1926, Luigi Fabbri fu costretto ad abbandonare l’insegnamento per aver rifiutato di prestare giuramento al Re e alle leggi dello Stato. Scelta, condivisa con un solo altro maestro italiano testimone di Geova, che lo costrinse all’esilio, prima a Parigi e poi in Uruguay, dove divenne maestro e in seguito dirigente.
Accanto alle considerazioni relative alla politica scolastica governativa, Lilith Verdini da ampio spazio al Fabbri maestro e coordinatore scolastico in Emilia, così come pure al ruolo di “Ispettore didattico e disciplinare” presso la Scuola italiana in Montevideo. L’incarico, vissuto talvolta con disagio, è documentato dal “Diario” dello stesso Fabbri, dove fra le altre cose si può leggere l’auspicio di “trovare nei colleghi fraterna cooperazione pel sempre migliore andamento della scuola”.
Partendo dalla convinzione che il processo educativo non può essere ricondotto ai soli aspetti relativi all’apprendimento, nella rivista “La Scuola Moderna”, con lo pseudonimo femminile “Eva Ranieri”, Fabbri gestisce una rubrica divulgativa denominata “La pagina delle mammine” con lo scopo di accompagnare le famiglie verso un’educazione più libertaria. È su queste pagine che, ad esempio, stigmatizza l’abitudine da parte delle famiglie dello spaventare i bambini con l’“uomo nero”, così come offre consigli sull’abbigliamento dei bambini e, addirittura, sui pannolini più adatti da usare.
La visione ad ampio spettro qui sinteticamente riportata, documenta come in Luigi Fabbri il problema educativo non possa essere affrontato disgiuntamente dalle questioni politiche e sociali. E nonostante ciò rappresenti un punto fermo e imprescindibile del suo modo di affrontare i temi educativi, egli fa sempre molta attenzione a non scivolare in atteggiamenti ideologici. L’attenzione prestata, ad esempio, al rifiuto dell’educazione confessionale, di qualunque natura questa sia, viene rimarcata in modo chiaro quando l’anarchico marchigiano prende le distanze dai fanatismi di alcuni compagni e, addirittura, da alcuni approcci dell’operato iniziale dello stesso Francisco Ferrer: <<L’operaio socialista od anarchico che fa gridare al suo bimbo “viva il socialismo” o “viva l’anarchia” commette la stessa violazione illiberale del genitore che fa dire a memoria il “pater noster” ai figliuoli>>.
Come scrive nella prefazione del libro Francesco Codello, in Fabbri sembrano convivere la visione di un pensiero anarchico che contempla la prospettiva della rivoluzione come evento, insieme ad un’altra che concepisce la rivoluzione come processo. Questa stessa specifica collocazione politico-metodologica gli ha consentito lucidamente di dare il giusto peso alla propria azione in funzione del periodo storico sociale del momento, come quando, dopo la Prima guerra mondiale, nel pieno di un forte fermento rivoluzionario, scelse di ridimensionare l’approccio educazionista, per prestare più attenzione all’azione rivoluzionaria: “..solo dopo che la rivoluzione avrà cambiate le basi della società, solo quando il mondo sarà rinnovato si potrà avere la scuola libertaria da noi agognata, una educazione ed una cultura veramente emancipate dalla triplice servitù del capitale”.
Il “maestro anarchico” rappresentato da Verdini, in fondo sembra mettere a fuoco il rigoroso equilibrio della radicalità di Fabbri. La sua stessa attività di maestro e dirigente scolastico, da questo punto di vista, oltre a testimoniare la sua ferma intenzione di indirizzare il mondo verso una progressiva emancipazione sociale, documenta la dedizione e l’accuratezza con la quale sottopose ad una costante autocritica le tematiche educative che si trovò via via ad affrontare, senza mai cedere il passo, né a indottrinamenti, né a conformismi progressisti.
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